BEI - centralizzare le decisioni sugli investimenti pubblici
Il suggerimento della Banca europea degli investimenti al governo e il desiderio del presidente del Febaf Abete su come la politica dovrebbe usare i Fondi strutturali
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Il problema delle lungaggini burocratiche in Italia per realizzare investimenti è ben noto. Ora anche la BEI si aggiunge al mondo imprenditoriale italiano nel richiedere al Governo un sistema di regole chiare e semplici che consentano di accelerare le decisioni in materia di investimenti pubblici, ponendole in capo ad un solo soggetto.
E' quanto emerso dalle dichiarazioni del vicepresidente della BEI Dario Scannapieco in un incontro ieri presso la Febaf con gli operatori dei mercati finanziari per presentare i risultati del Piano Juncker. Scannapieco ha anche elencato le motivazioni e i vantaggi di avere un unico interlocutore a livello nazionale, che:
- aiuti a sviluppare le priorità a livello strategico,
- aumenti la conoscenza della Pubblica Amministrazione dei criteri di economicità che rendono più facile l’attrazione di capitale privato, e
- riduca i gap esistenti rispetto alle best practices di mercati più evoluti nella combinazioni di risorse pubbliche e private.
Nonostante questo gap, che si traduce in pochi contratti di partenariato pubblico-privato in Italia rispetto alla media europea, il piano Juncker sta avendo un impatto significativo.
Gli investimenti approvati in Europa sono pari a 106 miliardi di euro e sono stati firmati contratti di finanziamento per quasi 10 miliardi di euro.
In Italia gli investimenti attivati sono pari a quasi 14 miliardi di euro, a fronte di operazioni in prestiti, garanzie ed equity per 2 miliardi. Speriamo che la nuova conferenza dei servizi prevista dalla riforma della PA possa contribuire ad un incremento di questi dati.
Vista la complessità dei meccanismi di garanzia attivati e il tempo trascorso, si può confermare che la BEI non sta perdendo tempo ad implementare l’iniziativa voluta dal presidente della Commissione europea per stimolare la ripresa degli investimenti nell'Unione.
Il volume di operazioni approvate può sembrare limitato di fronte all’importo complessivo di spesa per investimenti che assommano i Paesi membri dell'Ue, ma si deve considerare che probabilmente senza la garanzia EFSI tali operazioni non sarebbero state effettuate; hanno quindi un valore aggiuntivo e una portata significativa in termini di supporto alla crescita economica.
La BEI fa dunque delle raccomandazioni all’Italia per sfruttare le opportunità offerte dall’EFSI:
- identificare progetti credibili e bancabili e continuare con lo screening di nuovi progetti,
- rafforzare le competenze tecniche delle PA locali e centrali,
- coinvolgere capitali privati,
- definire un quadro chiaro di regole per la realizzazione delle opere e accelerazione del loro completamento.
Gli ultimi dati Bankitalia evidenziano che la propensione ad assumere rischi da parte delle banche italiane rimane prudente, nonostante gli stimoli della politica monetaria fortemente espansiva. Il trend dei crediti concessi alle imprese torna però a tassi di crescita leggermente positivi alla fine del 2015.
In questo contesto l’EFSI sembra essere gradito al sistema bancario, che si ritrova uno strumento di garanzia in più per ampliare la sua operatività.
Il presidente del Febaf Luigi Abete, a conclusione dell’incontro, ha infatti auspicato che la politica utilizzi i fondi strutturali non per elargire contributi a fondo perduto, ma come un grande fondo di garanzia che consentirebbe di moltiplicare le risorse finanziarie disponibili per la collettività.
L’idea non è peregrina, perchè è risaputo che l'Ue ha puntato molto di più in questa programmazione sugli strumenti finanziari per aumentare i finanziamenti ad enti e imprese. Chi la suggerisce sa bene che una tale evenienza costituirebbe un business addizionale di rilevante entità per il sistema bancario, ed è difficile da praticare quando si tratta supportare la ricerca e l’innovazione, le sole attività su cui molti economisti ritengono necessario mantenere incentivi.
Visto però come vengono spese le risorse finanziarie pubbliche in Italia, un’attenta analisi sui potenziali vantaggi e benefici di un cambiamento radicale nell’uso dei fondi per la coesione sarebbe quantomeno interessante da realizzare.
La gestione dei fondi strutturali è diventata talmente lenta, macchinosa e onerosa in mano a 75 autorità di governo di altrettanti programmi operativi nazionali e regionali che il solo risparmio di spesa per l’assistenza tecnica - affidata a società in-house di ministeri e regioni o a società di consulenza - potrebbe bilanciare i vantaggi finanziari per le banche.
Senza contare il desolante panorama spesso offerto nell’attuazione degli interventi, con le ben risapute corse a riprogrammare la spesa su progetti sponda e retrospettivi per non perdere i fondi assegnati dalla Ue.
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