Transizione 4.0: 29 miliardi di crediti e aumento occupazione e ricavi. Manca l’analisi dell’impatto sui conti pubblici
Nei primi tre anni del Piano 4.0, le imprese italiane hanno maturato 29 miliardi di crediti d’imposta 4.0, l’80% dei quali per investimenti in beni materiali. A dirlo il primo rapporto di analisi del Piano Transizione 4.0, che mette in luce anche gli effetti positivi su occupazione e ricavi delle imprese beneficiarie. Dati che fotografano il tiraggio degli incentivi anche in termini di settori, dimensione di impresa e geografia. Il report non analizza, invece, gli effetti della misura sui conti pubblici, un tassello importante per la valutazione complessiva del Piano, soprattutto con l'operatività del nuovo Patto di Stabilità e i nuovi vincoli sulla spesa pubblica.
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A redigere il “Rapporto intermedio di valutazione dell’impatto economico degli interventi del 'Piano Transizione 4.0'” sono stati i tecnici del Ministero dell’Economia e delle Finanze (MEF), del Ministero delle Imprese e del Made in Italy (MIMIT) e di Banca d’Italia, impegnati nell’analizzare l’impatto del Piano nel triennio 2020-2022.
Il quadro che ne emerge è quello di una misura che finora ha funzionato piuttosto bene, con benefici che hanno toccato un po' tutte le tipologie di imprese e di settori. Non mancano ovviamente i distinguo, a cominciare dal fatto che dei tax credit previsti dal Piano, quello con il tiraggio maggiore è stato l'incentivo rivolto agli investimenti in beni materiali che da solo ha assorbito più dell’80% del totale dei crediti maturati.
Differenze notevoli anche per quanto concerne la platea dei beneficiari (con una predominanza delle società di capitali e del manifatturiero), così come per quel che riguarda la localizzazione degli interventi, in cui predomina il Nord.
Analisi e informazioni importanti, che permettono di dare un primo giudizio di merito sul Piano, soprattutto sul tax credit beni materiali 4.0. Il bonus è stato, infatti, “utilizzato in misura crescente dalle società di dimensioni medio-piccole e da quelle con una minore maturità digitale, favorendo, nel tempo e coerentemente con gli obiettivi dell’intervento, una più ampia e diffusa digitalizzazione delle imprese". Il tutto con ricadute positive sui livelli di occupazione e sui ricavi delle imprese beneficiarie.
I ricercatori sottolineano, però, anche il fatto che “l’incentivo risulta meno efficiente col passare del tempo e che, al contempo, l’utilizzo dell’incentivo, e quindi i costi associati, tendono a crescere nel tempo”. Valutazioni che “assumono rilevanza alla luce delle regole introdotte dalla nuova governance europea, e dalla rinnovata attenzione a traiettorie di spesa pubblica sostenibili”, su cui il team di ricerca intende tornare - includendo nell’analisi anche la valutazione sull’impatto del Piano sul bilancio dello Stato - così da avere un confronto costi-benefici con utilizzi alternativi dell’ammontare speso.
Un’analisi necessaria dato che “il design di incentivi pienamente automatici e senza limiti di spesa complessivi appare poco compatibile con "i cambiamenti in materia di conti pubblici e di governance economica", scrivono i ricercatori.
Tax credit investimenti beni materiali 4.0
Come già accennato, dei 29 miliardi di euro di crediti d’imposta 4.0 maturati dalle imprese nel triennio 2020-2022, l’80% ha riguardato il tax credit investimenti beni materiali che da solo ha assorbito circa 23 miliardi di euro.
I maggiori beneficiari della misura sono state le società di capitali che si sono assicurate l’83% dell’ammontare dei crediti (oltre 18 miliardi di euro), rappresentando oltre il 50% delle imprese beneficiarie.
Per quanto concerne invece la dimensione delle imprese, il 60% del tax credit è stato maturato da imprese di dimensioni medie e piccole, rispettivamente 5,7 e 5,6 miliardi di euro (mentre le grandi imprese hanno maturato oltre 4 miliardi di credito e le micro 2,6 miliardi di euro).
I ricercatori hanno osservato che il credito medio è cresciuto all’aumentare della dimensione d’impresa: le imprese grandi in media hanno maturato, infatti, un credito di circa 656 mila euro, più del doppio di quello delle imprese medie (290 mila euro). Significativamente più contenuto il credito medio maturato dalle micro e dalle piccole imprese, rispettivamente pari a 53 e 134 mila euro.
Parlando invece di geografia, non sorprende quel 70% di tax credit maturato dalle imprese del Nord (12,6 miliardi di euro) contro i circa 3 miliardi facenti capo a imprese del Sud e i 2,6 miliardi di quelle del Centro.
Quanto ai settori, il podio è stato occupato dal settore manifatturiero che ha maturato oltre il 60% del credito complessivo, seguito dalle imprese dei settori del commercio e delle costruzioni.
Da sottolineare anche il fatto che “nel tempo l’incentivo è stato utilizzato in misura crescente da imprese con una minore maturità digitale, favorendo, coerentemente con gli obiettivi dell’intervento, una più ampia e diffusa digitalizzazione delle imprese. Si può stimare che una quota tra il 70 e l’85 per cento dei beneficiari non avesse investito in tecnologie digitali avanzate prima dell’adozione dell’incentivo”.
Transizione 4.0: aumentano occupazione e ricavi
Come già accennato, i dati raccolti confermano anche le ricadute positive che il Piano 4.0 ha avuto in termini di occupazione e ricavi delle imprese beneficiarie.
Da un lato, infatti, l’occupazione delle imprese beneficiarie di Transizione 4.0 è aumentata in media dal 3% all’8% a seconda del gruppo.
Complessivamente gli studiosi stimano che il Piano Transizione 4.0 avrebbe incrementato l’occupazione di circa 40.000 unità nel triennio 2020-2022, con le imprese piccole e medie che in termini assoluti hanno aumentato di più gli occupati, seguite dalle imprese grandi e dalle micro.
Per quanto riguarda invece i ricavi, gli investimenti in beni materiali 4.0 hanno indotto incrementi positivi e statisticamente significativi del fatturato per le imprese beneficiarie di tutte le classi dimensionali. In particolare gli incrementi di fatturato cumulati che sarebbero stati indotti da Transizione 4.0 ammonterebbero a circa 26 miliardi di euro ripartiti quasi equamente tra imprese di piccole (circa 9 miliardi), medie (circa 9 miliardi) e grandi dimensioni (circa 8 miliardi).
Come sono andati gli altri tax credit 4.0?
Come è noto, il Piano Transizione 4.0 include anche crediti d’imposta per:
- investimenti in beni immateriali;
- attività di ricerca, sviluppo e innovazione tecnologica, design e ideazione estetica (R&D&I);
- attività di formazione.
Tra i vari dati emersi, si sottolineano quelli relativi in particolare al tax credit R&S 4.0 e quello sulla formazione. Nel primo caso, emerge che le grandi imprese da sole hanno assorbito il 33% del credito totale: una quota maggiore di quelle riferite alle altre tipologie d’investimento. “Queste evidenze segnalano la complessità delle attività di R&S che richiede l’impiego di notevoli risorse finanziarie e umane. Le micro e piccole imprese beneficiano del 17 e 24 per cento rispettivamente del credito complessivo; il credito medio maturato della micro imprese è circa 7 volte inferiore a quello delle grandi imprese”, commentano i ricercatori.
Inoltre, come per gli investimenti materiali 4.0, anche nel caso del tax credit R&S la maggior parte dei crediti sono stati richiesti al Nord (60%), contro il 17% del Sud.
Situazione invece capovolta per quanto concerne il tax credit formazione 4.0. Da un lato, infatti, la quota del credito maturato da micro e piccole imprese è stata molto elevata, pari al 78% del totale. Dall'altro le percentuali di protagonismo del Sud sono aumentate, arrivando al 37% del totale: una quota più che doppia rispetto a tutti gli altri crediti del Piano Transizione 4.0. Anche la quota di crediti per settore di attività economica di questa misura si discosta molto dalle altre del Piano: ad esempio, il settore manifatturiero è il primo in termini di ammontare, ma nel caso di Formazione 4.0 assorbe una quota limitata del totale del credito (28%, circa la metà di quella delle altre misure).
“Tali differenze - si legge nel report - potrebbero essere in parte determinate dai tetti di spesa ammissibile di ammontare inferiore rispetto a quelli degli altri crediti d’imposta del piano. Le grandi imprese, essendo meno numerose, assorbono complessivamente meno fondi per questi incentivi rispetto a quelli con tetti più generosi. Inoltre, per il credito formazione il tetto di spesa previsto per le piccole imprese è superiore a quello previsto per altre imprese (300 mila euro contro 250 mila euro), con lo scopo di indirizzare maggiori risorse verso le imprese di minori dimensioni che hanno in media maggiori carenze sotto il profilo dell’innovazione e della digitalizzazione”.
Foto di Artem Podrez
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