Crisi: da Roma a Washington il peggio e' alle spalle

Mario DraghiDa alcune settimane, dalle Rockies agli Appennini, soffia il vento dell’ottimismo. Il moloch della crisi non spaventa più come sei mesi fa. Parole incoraggianti sono state utilizzate sia nel nostro Paese che negli Stati Uniti da due voci autorevoli, seppur diverse: quelle di Mario Draghi e Barack Obama. Il governatore di Bankitalia, l’economista Mario Draghi, ha affermato durante la  consueta relazione annuale a Palazzo Koch, che a partire dalla metà del marzo scorso le tensioni sui mercati finanziari si sono allentate.
Le quotazioni di borsa, pur tra oscillazioni, si sono risollevate, tornando sui livelli di inizio anno; gli indicatori qualitativi dell’economia reale mostrano un’attenuazione delle spinte recessive. Per Draghi questi sono segnali incoraggianti. La probabilità di una deflazione, intesa come un declino prolungato e generalizzato dei prezzi, appare modesta, anche perché le aspettative d’inflazione a medio e a lungo termine si mantengono vicine al 2 per cento. Tuttavia, è necessario continuare a sostenere l’economia con tutti gli strumenti a disposizione.
 
Per vedere una ripresa dovremo attendere fino al 2010. L’attesa generale per i prossimi mesi è di riduzioni di occupazione, di reddito, accompagnate dal permanere di volatilità sui mercati finanziari, con riflessi negativi sui consumi e sugli investimenti.
 
Fortunatamente non è emersa una significativa ripresa del protezionismo, invocato da taluni e osteggiato dai più.
 
L’analisi di Draghi scivola verso la chiave di volta del sistema bancario. Le misure espansive adottate da tutte le banche centrali hanno prodotto un significativo ampliamento dei loro bilanci. L’Eurosistema ha quindi finora concentrato gli interventi sulle banche.Tuttavia, l’esperienza passata mostra che senza il risanamento delle banche e senza una ripresa del circuito del credito la recessione sarà più lunga e la ripresa più lenta, nonostante l’eccezionale espansione dei disavanzi pubblici. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, gli interventi dei governi a garanzia dei depositi e delle passività bancarie e a sostegno delle ricapitalizzazioni hanno evitato ulteriori dissesti, ma non sono stati sufficienti a impedire una contrazione del credito. I mercati finanziari ancora stentano a recuperare piena funzionalità e l’avversione al rischio resta elevata.

A livello mondiale, le perdite contabilizzate nei bilanci delle banche negli ultimi due anni sono state pari a oltre 1.000 miliardi di dollari.

In Italia la crisi mondiale determinerà una caduta del PIL di circa il 5 per cento quest’anno, dopo la diminuzione di un punto nel 2008.

Il crollo della domanda estera ha provocato una forte contrazione della produzione industriale e degli investimenti. Nei sei mesi da ottobre 2008 a marzo 2009 il PIL è caduto in ragione d’anno di oltre 7 punti percentuali rispetto al semestre precedente.

I recenti segnali di ripresa provengono dai mercati finanziari e dai sondaggi d’opinione, più che dalle statistiche finora disponibili sull’economia reale. La gente sta tornando lentamente a nutrire fiducia in un sistema a cui non credeva più. Ma è davvero così?

Barack Obama - copyright White HouseFra le misure che le imprese hanno adottato per fronteggiare la recessione, quelle riguardanti il lavoro sono state di tre tipi: riorganizzazioni di turni e orari e blocco del turnover; ricorso alla cassa integrazione; mancati rinnovi di contratti temporanei e licenziamenti. Quasi tutte le imprese hanno fatto ricorso al primo tipo di misure. Secondo l’indagine della Banca d’Italia, circa metà delle 65.000 imprese dell’industria e dei servizi con almeno 20 addetti sono state coinvolte nel processo di ristrutturazione. Il lavoro diventa ora il grande interrogativo. La crisi ha reso più evidenti manchevolezze di lunga data nel nostro sistema di protezione sociale. Esso rimane frammentato. I lavoratori in cassa integrazione e coloro che cercano una occupazione sono già oggi intorno all'8,5% della forza lavoro, una quota che potrebbe salire oltre il 10%. Tra le misure anticrisi rivolte al sistema produttivo sono da prediligere quelle tese ad allentare i problemi finanziari delle imprese, come gli interventi che si stanno definendo anche con il concorso della Cassa depositi e prestiti e della SACE.

Uscire dalla crisi significa ricostruire fiducia. Non con artificii - conclude Draghi -  ma con la paziente, faticosa comprensione dell’accaduto e dei possibili scenari futuri.

Dall’altra parte dell’oceano Barack Obama ha affermato in questi giorni che l'economia americana è uscita dal baratro. “Sono fiducioso nel futuro, ma non sono ancora soddisfatto”, ha aggiunto il presidente.

L'inquilino della Casa Bianca ha difeso il suo massiccio piano di stimolo all'economia a cento giorni dal suo battesimo. Accolto dalle critiche dei repubblicani e dallo scetticismo di alcuni economisti, l’American Recovery and Reinvestment Act, cioè il piano di stimolo promulgato dall'Amministrazione Obama il 17 febbraio scorso, prevede investimenti per totali 787 miliardi di dollari, soprattutto a sostegno dei cantieri pubblici per creare lavoro e per ridurre le tasse a vantaggio dei consumi. Obama promise allora che il piano avrebbe creato (o almeno salvato) dai 3 ai 4 milioni di posti di lavoro. “Cento giorni più tardi abbiamo già ottenuto dei risultati, con la creazione di 150.000 posti. E' solo l'inizio” ha quindi detto Obama, ricordando come “ci siano ancora troppi americani disoccupati e troppi americani preoccupati di essere i prossimi della lista”, oltre a “troppe famiglie che faticano a pagare le bollette e troppe aziende che faticano a tenere aperta la porta”.
(a cura di Alessandra Flora)

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