Ricerca - risorse in calo fino al 2017, serve agenzia unica

 

Creare un’agenzia unica per l’assegnazione dei fondi, che possa fare anche da stimolo per la nascita di progetti Ue, sul modello degli Usa

 National Eye Institute

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E’ questa la proposta che arriva dal Gruppo 2003, associazione di studiosi che punta a rilanciare la ricerca in Italia. I dati dell’Ocse e del ministero dell’Economia, infatti, dicono che il livello di impegno pubblico su questo fronte è in riduzione costante. Le risorse per la ricerca, negli ultimi anni, sono passate da 4 a 2,8 miliardi mentre quelle per l’istruzione universitaria da 8,6 a 7,8 miliardi. E i bilanci di previsione dello Stato dicono che le cose andranno sempre peggio. Qualche spinta dovrebbe arrivare dai privati che, però, non ricevono il supporto necessario.

I numeri di Ocse e Mef

Il quadro generale viene delineato dai numeri messi insieme dal Gruppo 2003 per la ricerca scientifica in Italia. Secondo le statistiche dell’Ocse, gli investimenti pubblici in ricerca sono mediamente in calo anche a fine 2015. L’Italia è in discesa continua ormai dal 2008. Sono, allora, soprattutto i privati a consentire la crescita della spesa totale in ricerca a livello europeo: nel nostro Paese, invece, siamo passati dall’1,29% del Pil del 2007 all’1,13% del 2014.

La situazione in Europa

Tutti i principali paese europei, a differenza dell’Italia, si collocano invece sopra il 2%, qualcuno anche in maniera abbondante. La Francia è al 2,24%, la Germania al 2,83% e la media europea è di poco sotto il 2 per cento. Negli Usa, addirittura, questo dato arriva al 2,74% mentre in Giappone viene speso in ricerca il 3,47 per cento del prodotto interno lordo.

Prevale la ricerca industriale

Questo denaro in Italia viene indirizzato in larga parte alla ricerca industriale (0,7%), mentre per lo 0,18% del Pil va alla ricerca per gli enti pubblici e per lo 0,36% del Pil alla ricerca universitaria. Complessivamente, la spesa in ricerca viaggia tra i 19 e i 20 miliardi all’anno: circa 8 di questi arrivano dal pubblico. In Francia questa stessa cifra vale 48 miliardi ogni dodici mesi, mentre in Gran Bretagna siamo a 31 miliardi.

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Male i finanziamenti pubblici

Sono soprattutto i finanziamenti pubblici alla ricerca a contribuire alla creazione di questo divario. Nel periodo compreso tra il 2008 e il 2014 il capitolo dedicato a ricerca e innovazione nel bilancio dello Stato è passato da 4 a 2,8 miliardi di euro. Mentre il capitolo dedicato all’istruzione universitaria è sceso da 8,6 miliardi fino a 7,8 miliardi. In assoluto, queste due voci sono tra quelle che, nel corso degli ultimi anni, sono state ridimensionate in maniera maggiore.

E nei prossimi anni le cose non sembrano destinate a migliorare. Il bilancio triennale dello Stato prevede infatti che, dopo una flessione ulteriore tra 2015 e 2016, i livelli di spesa per ricerca nel 2017 resteranno sostanzialmente ai livelli attuali, con qualche leggera riduzione. Mentre le risorse per l’istruzione universitaria scenderanno ancora di molto: la previsione è che si passerà da 7,8 miliardi fino a 7,6 miliardi nel 2017, con un taglio di altri 200 milioni di euro.

Buzzetti: seguire il modello Usa

L’unica possibile spinta potrebbe arrivare da un potenziamento delle risorse che arrivano dai fondi europei e dalla migliore gestione delle risorse nazionali.

“C’è la grande esperienza degli Stati Uniti dove c’è l’NIH (National institute of health) – spiega Giuliano Buzzetti, segretario del Gruppo 2003 – che è un’agenzia potentissima che finanzia ricerca ad altissimo livello. Il problema in Italia è che non esiste una governance complessiva. Ci sono mille rivoli. Così proponiamo uno studio di ricognizione per capire quali Ministeri e come spendono le risorse”.

Su quel modello, allora, la proposta è la nascita di un’agenzia unica che lavori all’assegnazione dei fondi per la ricerca specializzata, inglobando le competenze che oggi sono sparse tra diversi Ministeri.

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