Industria 4.0 - Pero (PoliMi), attenzione alla burocrazia locale
Intervista a Luciano Pero, professore del Politecnico di Milano, sulle prospettive del piano Industria 4.0 appena lanciato dal Governo.
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“Non parliamo di portare macchine nelle vecchie fabbriche, ma di confrontarci con un modello organizzativo nuovo”. Per Luciano Pero, professore del Politecnico di Milano, l’iniziativa lanciata dall’esecutivo con il piano Industria 4.0 non è legata solo ai finanziamenti. Deve essere l’occasione per un grande salto in avanti nei processi organizzativi delle imprese italiane: servono aggregazioni, più cultura manageriale, strutture in grado di ospitare le tecnologie che oggi sono a disposizione delle aziende. E, comunque, per la fase di attuazione resta una grande incognita: la burocrazia degli enti territoriali, Regioni in testa.
Professore, cosa pensa del piano appena annunciato?
Il piano è finalmente un’iniziativa di politica industriale estesa, motivata e ben fatta. Penso sia molto positiva, anche se dobbiamo dire che andrà vista nel dettaglio, perché per adesso siamo ancora alla fase degli annunci. Le premesse, comunque, sono positive. C’è una sola osservazione da fare.
Quale?
Riguarda il contesto nel quale si colloca il piano. Parliamo di un’iniziativa che punta a supportare innovazioni tecnologiche molto avanzate e molto diverse: robotica, internet delle cose, intelligenza artificiale. Gli stessi esperti hanno difficoltà a fare delle classificazioni. Non possiamo pensare di collocarle in un contesto industriale antiquato.
Le imprese devono migliorare?
Certamente. Per applicare questo tipo di tecnologie ci vogliono organizzazioni evolute. Una condizione che, almeno per ora, in Italia riguarda solo una piccola parte delle imprese. E solitamente non parliamo nemmeno di quelle più grandi.
Dove bisogna migliorare?
Penso alla cultura manageriale. Le tecnologie da sole non bastano. Vanno integrate all’interno di una strategia di impresa più ampia. Per questo mi auguro che il piano del Governo venga accompagnato anche da un piano di innovazione delle imprese.
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A che innovazioni organizzative pensa?
Un esempio semplice è quello dell’organizzazione attraverso il lavoro di gruppo. Le imprese più moderne adottano modelli organizzativi che non sono più gerarchici, a piramide, con capi e capetti. Questi processi di riassetto si possono stimolare, per fare un altro esempio, attraverso le aggregazioni, come è avvenuto in Germania, dove sono state favorite nell’ambito degli accordi sindacali.
Vede pericoli per la fase di attuazione del piano?
No. Sempre che, ancora una volta, non lo intendiamo alla vecchia maniera. Per Industria 4.0 non si tratterà di comprare un macchinario e portarlo nella vecchia fabbrica, ma di confrontarsi con un modello organizzativo diverso. E’ un’opportunità straordinaria che andrà sfruttata da tutti. Non penso solo alle imprese, ma anche ai sindacati e alle università, che dovranno finalmente avvicinarsi al mondo privato, senza pensare solo a ricevere finanziamenti. Un pericolo, invece, potrebbe arrivare dalle Regioni.
Quale?
Se guardiamo alla storia recente, sono soggetti che spesso hanno ricevuto risorse che poi hanno disperso. Il vero rischio è che qualcosa si incagli nella burocrazia regionale.
Chiudiamo con il Sud. Vede un rischio che il Mezzogiorno non sia toccato dal piano?
No. Le fabbriche più moderne d’Italia sono nel Mezzogiorno, a Pomigliano e a Melfi. Quello del Sud che non riceve risorse è un falso problema. Molti finanziamenti, in passato, sono stati spesi male. Bisogna pensare a questo.
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