Rebus euro-dollaro: nonostante il cambio, cresce Made in Italy in USA
A dispetto dell'apprezzamento dell'euro sul dollaro, il 2017 si è chiuso con un aumento dell’export italiano verso gli Stati Uniti del 10%. A dirlo è SACE, che cerca di risolvere il 'rebus' del cambio tra le due valute e di analizzare le sue implicazioni sul Made in Italy oltreoceano.
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Rebus euro/dollaro: le implicazioni sul Made in Italy
Il cambio euro/dollaro - spiega SACE, la società specializzata nell'export credit che insieme a SIMEST costituisce il Polo dell'export e dell'internazionalizzazione del Gruppo CDP (Cassa Depositi e Prestiti) - è uno dei fattori capaci di influenzare l’export italiano verso gli Stati Uniti.
Tendenzialmente, più l'euro si deprezza rispetto al dollaro, più le vendite di beni made in Italy verso il mercato americano aumentano. L’incremento delle spedizioni italiane verso gli USA (+20,9%) osservato nel 2015 - quando l'euro ha toccato i minimi storici rispetto al dollaro (1,11) - ne è una dimostrazione.
Tuttavia, si legge nella nota di SACE, nonostante l’apprezzamento registrato nel 2017 dalla moneta unica, nel medesimo periodo le esportazioni italiane verso gli Stati Uniti sono aumentate di circa il 10%, superando i 40 miliardi di euro.
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Buone prospettive per l'export italiano in USA
In questo scenario apparentemente contraddittorio, vi sono, spiega SACE, alcuni buoni motivi per non preoccuparsi troppo dell’apprezzamento dell’euro, almeno fino a una certa quota, e delle sue possibili implicazioni per il futuro del Made in italy.
Secondo Oxford Economics, spiega la società del Gruppo CDP, la 'soglia del dolore' delle imprese italiane - ovvero il livello limite del cambio euro/dollaro oltre il quale un'azienda inizia a "soffrire" in termini di competitività - è aumentata rispetto al passato e ha attualmente raggiunto quota 1,30. Solo con un apprezzamento dell'euro superiore a tale livello, l’Italia avrebbe dunque "meno spazio per esportare a prezzi competitivi".
Va notato, inoltre, che "più del tasso di cambio nominale, è il tasso di cambio effettivo reale a costituire una misura della competitività (in termini di prezzo) dei prodotti" italiani. Ed è quest'ultimo, continua l'analisi di SACE, che "è andato deprezzandosi nel periodo post-crisi, salvo riapprezzarsi nel 2017".
Tra i motivi per non allarmarsi vi è, poi, il fatto che, nel tempo, l’export italiano ha mostrato una buona capacità di adattamento, sia in termini di composizione, passando "da un elevato numero di piccoli esportatori a una ricomposizione verso imprese medio-grandi", sia in termini di specializzazione settoriale, con un aumento del peso dei settori con minore esposizione alla concorrenza cinese, quali: automotive, chimico-farmaceutico e alimentari.
Infine, la qualità dei prodotti spiega, almeno in parte, la resilienza dell’export italiano. Il Trade Performance Index elaborato all’International Trade Centre, che considera 189 Paesi e 14 settori, rivela infatti che l’Italia è il secondo Paese più competitivo nel commercio mondiale dopo la Germania, conclude SACE.
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Photo credit: atheoh on Foter.com / CC BY-NC-SA
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