Agricoltura sociale: finanziamenti per un'attivita' su quattro
Un universo complesso, che contribuisce allo sviluppo economico fornendo servizi di welfare innovativi e contribuendo alla coesione territoriale. E' la fotografia dell'agricoltura sociale scattata dal Crea-PB nell'ambito della Rete rurale nazionale.
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Un rapporto realizzato dal CREA-Centro Politiche e Bioeconomia nell'ambito delle attività della Rete rurale nazionale offre una panoramica sull'agricoltura sociale in Italia e sul suo contributo allo sviluppo economico e alla coesione. Dalle circa 400 realtà che hanno partecipato all'indagine, svolta con questionario on line e senza campionatura statistica, emerge un quadro diversificato, ma caratterizzato da elementi comuni.
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Cosa si intende per agricoltura sociale
Ispirato all'anglosassone “social farming”, il termine agricoltura sociale racchiude un insieme di attività agricole e connesse che promuovono l'inclusione sociale e lavorativa, l'offerta di servizi utili alle popolazioni rurali, di attività educative, ricreative o che affiancano le terapie, coniungandole con la competitività dell’azienda agricola e la centralità del ruolo dell’agricoltore.
Pur nella varietà delle esperienze, in Italia ricorrono alcuni elementi comuni:
- le finalità produttive e sociali a beneficio di soggetti fragili (persone con disabilità fisica o psichica, psichiatrici, dipendenti da alcool o droghe, detenuti o ex-detenuti, ecc.) o di specifiche fasce della popolazione (bambini, anziani) per cui risulta carente l’offerta di servizi;
- l'utilizzo di territori marginali, abbandonati o sotto-utilizzati e di terre e strutture sottratte alla criminalità organizzata;
- la fitta rete di collaborazioni tra attori che appartenengono a settori differenti e mettono in sinergia le competenze e le professionalità disponibili.
Alla luce di queste caratteristiche, la legge n. 141 del 2015 definisce il ruolo dell’agricoltura sociale “quale aspetto della multifunzionalità delle imprese agricole finalizzato allo sviluppo di interventi e di servizi sociali, socio-sanitari, educativi e di inserimento socio-lavorativo, allo scopo di facilitare l’accesso adeguato e uniforme alle prestazioni essenziali da garantire alle persone, alle famiglie e alle comunità locali in tutto il territorio nazionale e in particolare nelle zone rurali o svantaggiate” e individua quattro tipologie di intervento:
- inserimento socio-lavorativo di persone svantaggiate;
- prestazioni e attività sociali e di servizio per le comunità locali;
- prestazioni e servizi che affiancano e supportano le terapie mediche, psicologiche e riabilitative;
- progetti finalizzati all’educazione ambientale e alimentare di minori e persone svantaggiate.
> Agricoltura sociale - il testo della Legge 141-2015
Vicino alle grandi città e ai consumatori
La ricerca si basa su una serie di questionari raccolti in tutte le regioni italiane, con una netta prevalenza della partecipazione in Lombardia, Toscana, Calabria e Piemonte.
Le attività coinvolte nell'indagine sono localizzate soprattutto nelle zone collinari (46%) e di pianura (36%) e in comuni localizzati in aree metropolitane - Roma (19%), Torino e Bologna (12% ciascuno), Palermo e Reggio Calabria (9%), Bologna e Firenze (7%) - che garantiscono un ampio bacino di consumatori.
Buona parte delle realtà censite sono di recente costituzione e il 27% di esse è stata costituita negli ultimi dieci anni, percentuale che raggiunge quasi il 50% se si considera il periodo tra il 2005 e il 2016. Tuttavia, poco meno della metà delle realtà censite ha avviato attività di agricoltura sociale in corrispondenza alla costituzione o nei primi 5 anni di attività.
Quanto alla forma giuridica, si tratta per quasi metà del campione di cooperative sociali (46%), soprattutto di tipo B, seguite dalle aziende individuali (19%), in particolare società di capitali (s.r.l., s.r.l.s., s.p.a) e società di persone (s.s, s.n.c., s.a.s., etc.).
Prevalgono le realtà piccole e medie
A prevalere sono le realtà di piccole e medie dimensioni: se si esclude la classe di fatturato inferiore ai 4mila euro che raccoglie il 14% delle realtà censite, la classe di fatturato con la maggior numerosità è quella tra 8mila-25mila (13,4% delle realtà censite). Seguono le classi 50mila-100mila euro e tra i 100mila-250mila euro (12,5% rispettivamente), con solo il 10% dei casi con fatturato superiore al milione di euro.
Le realtà più piccole, cioè con un fatturato complessivo inferiore agli 8.000 euro, appartengono al terzo settore (31%) o al mondo delle cooperative sociali di tipo A e B (28%), mentre le realtà grandi (fatturato sopra i 250mila euro) sono nella maggior parte dei casi cooperative, soprattutto di tipo B.
La maggior parte delle realtà dichiara che la quota di fatturato derivante da attività agricola o connessa rappresenta più del 30% del fatturato totale, mentre circa il 26% del campione ha un fatturato che deriva quasi esclusivamente dall’attività agricola e/o connessa.
In termini di valore, un quarto delle realtà analizzate presenta un fatturato derivante da agricoltura sociale inferiore a 1.000 euro, mentre è inferiore al 10% la quota delle aziende che vi ricava un fatturato superiore ai 100mila euro.
Superfici sopra la media nazionale
In termini di superficie, la realtà di agricoltura sociale oggetto dell'analisi si caratterizza per una SAU media aziendale di circa 25 ettari, più elevata del dato medio aziendale proveniente dal 6° Censimento generale dell’Agricoltura dell’ISTAT del 2010 (7,9 ha), con una preponderanza della classe oltre i 50 ha (76%), la cui superficie è gestita dal 7% delle aziende. All’opposto, il 58% delle aziende dispone di solo il 5% della SAU complessiva.
La forma di possesso è nel 47% dei casi l'affitto, oltre il doppio della percentuale relativa alla proprietà, ma sono presenti anche forme di comodato d’uso gratuito sia di terreni pubblici che privati, nonché di gestione di terreni confiscati alle mafie.
Coltivazioni, zootecnia e attività connesse
Quanto alle attività produttive interessate all’agricoltura sociale, a prevalere sono le coltivazioni annuali, tra le quali le coltivazioni orticole, ad alta intensità di lavoro, incidono per il 63% delle realtà analizzate. A seguire le coltivazioni pluriannuali (24%) e la zootecnia (23%), mentre l’allevamento delle api incide per il 6%, in sintonia con le tecniche di coltivazione, prevalentemente biologiche o biodinamiche, adottate del 68% delle aziende analizzate.
In media ogni realtà analizzata svolge più di due attività connesse, con una prevalenza di punti vendita aziendali e delle fattorie didattiche soprattutto nelle cooperative sociali, mentre le aziende agricole sviluppano maggiormente l’ospitalità agrituristica.
Se si guarda alla classificazione prevista dalla legge 141 del 2015, l’attività maggiormente presente risulta essere quella diretta all’inserimento socio lavorativo, realizzata dal 71% del campione, mentre le altre tre tipologie non mostrano sostanziali differenze al loro interno, attestandosi poco sopra il 30%.
Attività rivolte ai disabili in una realtà su due
Se in generale l'agricoltura sociale si rivolge alle fasce deboli della popolazione, dai minori agli anziani, dai rifugiati ai detenuti, in genere le attività sono destinate a più di una tipologia di soggetti e il 54% del totale svolge attività rivolte a persone con disabilità, percentuale di gran lunga superiore a quella delle altre categorie. In crescita anche l'incidenza delle attività rivolte ai disoccupati con disagio socioeconomico (31%) e agli studenti (30%), anche a seguito dell'introduzione dei percorsi di alternanza scuola-lavoro.
I destinatari sono coinvolti prevalentemente nelle lavorazioni del terreno, seguite dalle cure colturali e dalla raccolta dei prodotti, attività che consentono di seguire tutto il ciclo produttivo delle piante, un fattore particolarmente importante per le persone con disabilità in quanto danno un senso di completezza e di concretezza alle attività svolte.
Quanto alla modalità di coinvolgimento dei destinatari, a parte gli studenti ed i minori, tutte le altre categorie risultano dipendenti, in misura percentuale diversa, dell’organizzazione; la modalità di socio lavoratore è presente per tutti i destinatari, ad eccezione delle donne vittime di violenza.
Addetti con competenze specifiche
La quota di realtà che svolgono attività di agricoltura sociale in assenza di addetti con competenze in materie agrarie risulta minoritaria (11,2%), mentre in genere sono presenti competenze specifiche con riferimento ad uno o più titoli di studio nel settore agrario. Tra i titoli posseduti, il diploma superiore di secondo grado è il più rappresentato (35,3%), seguito dal diploma di I grado. Consistente risulta anche la quota dei laureati sul numero di addetti con competenze agrarie.
Vi sono poi addetti con competenze specifiche nell'agricoltura sociale, dalla pet therapy alla horticultural therapy, oppure nel campo delll’inclusione lavorativa, della disabilità, dell’imprenditoria sociale, del turismo responsabile.
L'importanza della commercializzazione
La vendita dei prodotti rappresenta un aspetto essenziale per queste realtà, non solo dal punto di vista economico, ma in quanto momento di gratificazione e di autostima per chi è stato coinvolto nella produzione. Nell’87,6% dei casi la vendita è rivolta a privati e oltre il 67% del campione ottiene da questa tipologia di vendita il 50% dei propri guadagni.
Quanto alle modalità di vendita spicca la commercializzazione senza intermediari, in particolare la vendita diretta in azienda (60,2%), seguita dai gruppi di acquisto (35,1%) e dai mercati contadini e rionali (32,2%), dalla ristorazione (22,3%) e da altri negozi del proprio territorio (19,9%).
Presenti in misura ridotta i canali della distribuzione organizzata (8,5%), i grossisti (7,1%) e quello più innovativo dell’e-commerce (11,4%). Oltre il 10% delle realtà, poi, conferisce una quota delle proprie produzioni alle mense.
Le fonti di finanziamento
Un quarto delle realtà intervistate dichiara di aver fatto ricorso a finanziamenti per avviare le attività di agricoltura sociale. Nel 30% dei casi si è trattato di fondi pubblici, prevalentemente fondi europei a valere sui Programmi di sviluppo rurale (PSR), ma anche nazionali, regionali e locali.
La seconda fonte di finanziamento è quella di origine privata che comprende, oltre ai fondi propri aziendali, quelli raccolti tramite operazioni di crowdfunding e le donazioni (5x1000; 8x1000), mentre risulta limitato il ricorso ai finanziamenti di origine bancaria o di fondazioni e a quelli derivanti dalle strutture sanitarie (ASL, AUSL, Distretti sociali).
Nel 55% dei casi gli investimenti effettuati negli ultimi 5 anni sono stati finanziati in proprio o facendo ricorso a finanziamenti privati, anche tramite operazioni di crowdfunding e donazioni; un quarto delle aziende ha invece fatto ricorso a fondi pubblici e il 17% a fondi bancari o di fondazioni. Macchinari, attrezzature agricole e altri impianti sono in cima alla classifica delle tipologie di investimento, seguiti da personale, fabbricati produttivi e serre.
> Rapporto sull'agricoltura sociale in Italia
Photo credit: U.S. Department of Agriculture
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