La polemica sui fondi UE per la ricerca è sintomo negativo del sistema italiano
In questi giorni l’articolo di un ordinario di letteratura greca ha scaldato gli animi di professori e non solo. Nel mirino, le dure critiche mosse ai fondi UE per i ricercatori. Critiche lecite, che però rischiano, spostando il bersaglio su Bruxelles (com’è ormai di moda), di non mettere a fuoco il vero i veri problemi della ricerca italiana.
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Non è passato inosservato l’articolo di Walter Lapini, professore ordinario di letteratura greca, pubblicato dal Corriere della Sera. Articolo in cui, con toni tutt’altro che compassati, il professore dell’Università di Genova rilancia la polemica intorno i finanziamenti europei alla ricerca, in particolare gli ERC Grants, i premi per i ricercatori eccellenti.
Prima di entrare nel merito della polemica che ne è nata, facciamo un passo indietro e capiamo di cosa stiamo parlando.
Che cosa sono gli ERC Grant e a cosa servono?
Si tratta di sovvenzioni destinate a diverse tipologie di ricercatori internazionali interessati a lavorare in Europa. Nel 2019, lo European Research Council (ERC), che gestisce tali sovvenzioni, ha messo sul piatto 2 miliardi di euro per sostenere i ricercatori di ogni livello, da quelli con meno di 7 anni di esperienza ai più esperti.
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Una polemica sterile dai toni sprezzanti
“Gli Erc e i dispositivi dello stesso tipo come le Marie Curie, le quote premiali, le supererogazioni ai cosiddetti dipartimenti di eccellenza vanno di moda in quanto interpretano lo spirito dei tempi, in cui si disprezza il magro ma regolare provento e ci si esalta per l’azzardo, il colpo grosso, il tutto o niente. Poiché la trippa (dicono) non basta più, si cala dall’alto un grosso pezzo di carne e il più forte o più scaltro lo azzanna”.
In teoria, difficile non essere d’accordo con il suo punto di vista. In pratica, non è pensabile che lo European Research Council distribuisca soldi a pioggia a tutti i ricercatori, professori e atenei, italiani e di altri 27 Paesi.
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Il problema, semmai, è l’Italia
Anche potendo (e non è così), l’ERC non ha questo compito. Il suo obiettivo è semmai quello di sostenere la ricerca della massima qualità in Europa attraverso finanziamenti competitivi.
Lapini fa fuoco contro un ente senza considerare lo scopo che quell’ente stesso si propone. Assecondando così la tendenza, ormai di gran moda, di addossare la colpa a qualcun altro, all’Europa.
Il problema, semmai, è l’Italia, che spende decisamente troppo poco in ricerca: secondo l’Osservatorio sui conti pubblici italiani della Cattolica il nostro Paese spende per l’università statale 5,5 miliardi di euro, lo 0,3% del prodotto interno lordo, contro una media europea dello 0,7%.
O per dirla con le parole di Gianmario Verona e Francesco Billari, rispettivamente rettore e professore di Demografia dell’Università Bocconi di Milano, “la ricerca italiana da anni soffre di un brutto male: l’inadeguatezza del finanziamento rispetto alla qualità dei ricercatori e al prestigio internazionale del nostro Paese”.
“I fondi”, si legge nell’articolo dei due professori, pubblicato sempre dal Corriere in risposta a quello di Lapini, “scarseggiano perché la ricerca, essenziale per lo sviluppo economico e sociale nel medio e lungo termine, non è una priorità nel dibattito politico, sempre più miope sia in propaganda elettorale sia nei fatti che ne seguono”.
“In questo scenario sconfortante, la tanto criticata Unione Europea ha per fortuna immaginato da alcuni anni un sistema di finanziamento alla ricerca aggiuntivo rispetto a quello previsto dai singoli Paesi. Lo ho fatto guardando agli esempi di Regno Unito e Stati Uniti, punti di riferimento nell’innovazione accademica e nella ricerca scientifica dal secondo dopoguerra”. E concludono: “Anziché felicitarsi di questa iniziativa, che fornisce un potenziale «tesoretto» ai ricercatori italiani meritevoli e sottofinanziati a livello nazionale, c’è chi, come il professor Lapini [...] attacca i fondi Erc”.
Baroni e cani sciolti? O forse cervelli che non vedono l’ora di fuggire?
Il secondo errore di Lapini è stato, forse, di distrazione. L’altro aspetto della sua critica alle borse ERC riguarda l’apertura di tali finanziamenti “tanto ai baroni quanto agli esordienti e ai cani sciolti”.
“E così il giovanotto intraprendente e opportunamente addestrato che ha saputo esprimere in un brillante curriculese una serie di buoni propositi e di parole in voga tipo ‘gender’ o ‘sostenibilità’, vola senza colpo ferire su una cattedra di fatto comprata”.
Falso. Il programma di lavoro dello European Research Council prevede diversi tipi di sostegno:
- Starting grants, rivolti ai ricercatori con esperienza da 2 a 7 anni, che possono ricevere un contributo fino a 1,5 milioni di euro per 5 anni;
- Consolidator grants, rivolti ai ricercatori con esperienza da 7 a 12 anni che possono accedere a un contributo massimo di 2 milioni di euro per 5 anni;
- Advanced grants, rivolti ai ricercatori in possesso di un curriculum accademico che li identifichi come leader dei rispettivi settori di ricerca. Il contributo massimo è di 2,5 milioni di euro per 5 anni.
Questo solo per citare i principali, quelli contro cui - peccando forse di un’informazione superficiale - il professore si è scagliato nel suo articolo, facendo di tutta l’erba un fascio.
Quel che dovrebbe far riflettere davvero è il numero di italiani che, vinta la borsa Erc, hanno deciso di “spenderla” in Italia: dei 23 che hanno vinto una sovvenzione a dicembre, solo 7. Un numero indicativo dello stato di salute in cui versa ormai il sistema della ricerca in Italia.
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