Confidi: 250 milioni in più con le novità del decreto sviluppo 2.0
Non si tratta di grandi numeri, ma di una nuova regola che, a costo zero, riuscirà a garantire un robusto pacchetto di credito extra alle imprese: secondo le prime stime, dovrebbe portare almeno 250 milioni di euro sul mercato. E’ questo, in sintesi, l’effetto dell’articolo 36 del nuovo decreto sviluppo, varato dal governo Monti appena la settimana scorsa. Un articolo che, di fatto, ripropone una norma già inserita nella Finanziaria 2008.
Oltre al pacchetto definito “Agenda digitale”, infatti, il provvedimento contiene nella seconda parte una serie di norme destinate alla crescita del paese in diversi settori. Tra questi, compaiono i consorzi fidi, quei soggetti che svolgono funzione di garanzia collettiva sul mercato del credito e che, da tempo, vengono invocati come uno dei possibili motori della soluzione all’emergenza liquidità in atto.
Per svolgere pienamente questo ruolo, però, mancano storicamente di “massa critica”, cioè delle dimensioni necessarie a controbilanciare l’apertura di una grande quantità di fidi. Ed è proprio su questo punto che agisce il decreto sviluppo. Nella scia di quelle riforme che, negli ultimi anni, hanno cercato di farli diventare soggetti vigilati dalla Banca d’Italia con capitale sempre maggiore a disposizione.
La norma, inserita ai commi 1 e 2 del decreto, anzitutto ha il pregio di non comportare alcun onere aggiuntivo a carico del bilancio dello Stato. Nella sostanza, riconosce ai confidi ex art. 107 TUB “la facoltà – si legge nella relazione tecnica di accompagnamento - di imputare al fondo consortile o al capitale sociale i fondi rischi e gli altri fondi o riserve patrimoniali costituiti da contributi dello Stato, delle Regioni e di altri enti pubblici esistenti alla data di entrata in vigore del provvedimento”.
La formulazione utilizzata è piuttosto complessa ma il suo senso ultimo è semplicissimo. Una serie di voci di bilancio che prima non erano utilizzabili per prestare garanzie, a causa di particolari vincoli di destinazione, adesso lo saranno. E questo, grazie all’effetto leva, consentirà di liberare quantità di fidi piuttosto ampie sul mercato.
La nuova regola non si applicherà a tutti, ma avrà un impatto circoscritto. Sarà limitata ai confidi sottoposti a vigilanza diretta da parte della Banca d’Italia, attualmente iscritti nell’elenco di cui all’articolo 107 del Testo unico bancario, e a quelli che hanno da poco completato o stanno per completare processi di aggregazione. Due paletti che puntano a incentivare i soggetti più capitalizzati o quelli che, in prospettiva, si preparano a diventare molto capitalizzati.
A conti fatti, secondo le stime effettuate dal governo, questa nuova regola dovrebbe portare linfa a una cinquantina di soggetti in tutta Italia. Dando a ciascuno la possibilità di garantire almeno cinque milioni di euro in più rispetto a quanto faccia adesso. Questo significa che, grazie al nuovo decreto, potrebbero essere sbloccati di colpo almeno 250 milioni di euro di crediti a tasso agevolato.
Non è d'accordo Luigi Troiani, presidente del collegio sindacale di Coopfidi: "Le valutazioni in questione sono troppo ottimistiche, perché molto spesso la contribuzione pubblica è già stata portata a ripianamento delle perdite, soprattutto nei bilanci 2010 e 2011. Quindi, residua poca materia da girare al fondo consortile. Secondo me gli effetti saranno di gran lunga inferiori, perché limitati ai Confidi molto patrimonializzati e che hanno ancora voci libere. In ogni caso, si tratta di una buona iniziativa".
Resta, poi, un'altra grande criticità. L’articolo 36 è, di fatto, il copia incolla di una norma inserita nella Finanziaria 2008 (articolo 1, comma 134). All’epoca gli effetti di quella novità furono buoni ma non devastanti. Parecchi consorzi la usarono per rafforzarsi alla vigilia della crisi, ma molti ebbero perplessità sulla reale efficacia della sua applicazione. La possibilità di usare quella regola è scaduta a giugno 2008. Adesso si prepara a tornare di moda. E si spera che abbia maggiore fortuna.