Sharing economy – Ue contro divieti

 

Accesso al mercato, responsabilità, tutela degli utenti, lavoro e fisco. Sono i punti chiave degli orientamenti Ue per la sharing economy.

Sharing economy - Photo credit: Jirka Matousek via Foter.com / CC BY

> Sharing economy – Ue prepara linee guida

Sharing economy – cosa prevede la proposta di legge

La sharing economy può dare un contributo importante alla crescita e all'occupazione nell'Unione europea se incoraggiata e sviluppata in modo responsabile. Tuttavia, man mano che il settore cresce e si diffonde nell'Ue, le autorità nazionali e locali stanno rispondendo con un insieme di interventi normativi quanto mai eterogenei. Un approccio frammentato che crea incertezza per gli operatori tradizionali, per i nuovi prestatori di servizi e per i consumatori, e che rischia di ostacolare l'innovazione, la crescita e l'occupazione.

Con questa premessa la Commissione pubblica gli orientamenti finalizzati al sostegno di consumatori, imprese e autorità pubbliche affinché operino al meglio nell'ambito della sharing economy, nella comunicazione "Un'agenda europea per l'economia collaborativa".

Sharing economy – quanto costa il ritardo Ue

Requisiti di accesso al mercato

Una delle domande centrali per le autorità è se, ai sensi dell’attuale legislazione Ue, le piattaforme e i fornitori di servizi debbano essere soggetti a requisiti per l’accesso al mercato come autorizzazioni, licenze, obblighi assicurativi e standard minimi di qualità.

Secondo quanto indicato nelle linee guida, le piattaforme online che forniscono solo servizi di intermediazione per conto di terzi non possono essere soggette a requisiti di licenza o autorizzazione ex-ante. Inoltre, secondo la direttiva 2000/31 sull’e-commerce, le piattaforme sono soggette solo alla legislazione del Paese d’origine e i Paesi membri non possono imporre regolamentazioni supplementari alle piattaforme con base in un altro Stato Ue.

Se le piattaforme non si limitano a fornire servizi di intermediazione elettronica, ma sono considerate esse stesse fornitori di servizi, sono soggette alle regolamentazioni del settore. La differenziazione proposta dalla Commissione si basa sul controllo o l'influenza che la piattaforma ha sul servizio offerto, che deve essere deciso caso per caso secondo i seguenti criteri:

  • Prezzo: se la piattaforma fissa il prezzo finale senza che il fornitore di servizi lo possa modificare;
  • Proprietà di risorse chiave: se la piattaforma possiede le risorse che vengono usate dai fornitori di servizi;
  • Relazione dipendente-datore di lavoro: se il fornitore di servizi può essere considerato un dipendente della piattaforma.

Quando tutti e tre i requisiti sono presenti, si può considerare la piattaforma come fornitore del servizio. Quando solo alcuni dei requisiti sono presenti, bisogna considerare criteri addizionali come:

  • Livello di assistenza della piattaforma ai fornitori del servizio;
  • Livello di abbinamento tra utilizzatori e fornitori del servizio da parte della piattaforma;
  • Livello di controllo della piattaforma sui termini contrattuali tra utilizzatori e fornitori del servizio.

Gli Stati membri dovrebbero inoltre distinguere tra i privati cittadini che offrono servizi occasionalmente e i prestatori che agiscono in qualità di professionisti, ad esempio stabilendo delle soglie basate sul livello di attività.

In termini generali, nota la Commissione, la messa al bando di una piattaforma dev'essere considerata un misura accettabile solo nel caso estremo in cui non ci siano le misure per garantire l’interesse pubblico.

Regimi di responsabilità

Di chi è la responsabilità se c'è un problema? Le piattaforme online funzionano spesso solo come luogo di incontro tra utenti e fornitori di servizi, e la loro attività è quindi semplicemente tecnica, automatica e passiva. Per questo motivo, chiarisce la Commissione, le piattaforme della sharing economy non possono essere ritenute responsabili per il contenuto pubblicato dai fornitori, a meno che non vengano a conoscenza di attività illecite.

Esse tuttavia non dovrebbero essere esonerate dalla responsabilità per qualsiasi servizio offerto dalle stesse, come i servizi di pagamento. La Commissione incoraggia inoltre le piattaforme a continuare ad agire per eliminare i contenuti online illegali e per aumentare la fiducia tra gli utenti.

Protezione degli utenti

Si tratta di uno dei punti chiave delle linee guida Ue. Gli Stati membri dovrebbero garantire che i consumatori godano di un livello di protezione elevato dalle pratiche commerciali sleali, senza però imporre obblighi sproporzionati ai privati che forniscono servizi solo occasionalmente: questa, in sintesi, la posizione della Commissione.

Le leggi a tutela del consumatore hanno ragione di esistere perché di solito il consumatore è la parte debole della transazione. Tuttavia, nel caso della sharing economy, a causa delle differenti relazioni tra piattaforma, fornitore del servizio e utilizzatore, è più difficile stabilire quale sia la parte più debole.

La legislazione Ue sulla protezione del consumatore viene applicata solo per le piattaforme che svolgono direttamente pratiche commerciali con i consumatori. Nel caso di transazioni consumatore-consumatore questi leggi non vengono applicate. La distinzione tra transazioni commerciali e consumatore-consumatore dovrebbe dunque essere fatta caso per caso, in base a tre fattori: frequenza del servizio, ricerca del profitto, livello di turnover.

Gli Stati membri sono incoraggiati a cercare un approccio bilanciato che assicuri ai consumatori la giusta protezione da pratiche commerciali sleali e, a coloro che forniscono servizi in maniera occasionale, una maggiore libertà da obblighi amministrativi.

Lavoratori autonomi e dipendenti

Si tratta di uno dei punti più spinosi, che riguarda direttamente l'azienda del settore più colpita da divieti in Ue: Uber, il servizio di trasporto automobilistico privato attraverso un'applicazione software mobile che mette in collegamento diretto passeggeri e autisti, non considera infatti gli autisti suoi dipendenti.

La sharing economy offre la possibilità di lavori part-time a individui che non possono usufruire di tradizionali forme lavorative, premette la Commissione nelle linee guida, ma questi accordi lavorativi flessibili creano problemi per l’applicazione delle tradizionali leggi sul lavoro.

Palazzo Berlaymont non scoglie il nodo, ma nella comunicazione si limita a passare LA palla agli Stati membri. A loro infatti spetta la responsabilità di definire i concetti di lavoratore autonomo e dipendente caso per caso secondo i seguenti criteri:

  • Subordinazione: livello di imposizione da parte della piattaforma al fornitore di servizi rispetto al tipo di servizio che può essere offerto;
  • Natura del lavoro: livello di valore economico prodotto dall’attività;
  • Remunerazione del fornitore di servizi da parte della piattaforma.

I Paesi membri dovrebbero valutare l’adeguatezza delle normative nazionali sul lavoro rispetto ai differenti bisogni di lavoratori dipendenti e autonomi nell’era digitale, e fornire indicazioni sulle loro regole di applicazione delle leggi sul lavoro nell’ambito della sharing economy.

Tassazione

Infine, un altro nervo scoperto della sharing economy, la fiscalità.

Come tutti gli altri operatori economici, quelli che operano nella sharing economy sono soggetti alle normali regole di tassazione sul reddito. La sharing economy solleva diverse questioni dal punto di vista fiscale per la difficoltà di identificare il contribuente e il reddito imponibile.

Gli Stati dovrebbero adattare le migliori prassi per registrare le attività economiche attraverso le piattaforme online per agevolare e migliorare la riscossione delle imposte. Alcuni Stati, ad esempio, stanno concludendo accordi con piattaforme come Airbnb per agevolare il pagamento della tassa di soggiorno per conto dei fornitori. Ci sono anche casi in cui le autorità fiscali sfruttano la tracciabilità garantita dalle piattaforme online per riscuotere le tasse direttamente dai fornitori.

Gli Stati membri dovrebbero inoltre continuare il processo di semplificazione e adattare le loro regole fiscali per creare una parità di condizioni per tutti i modelli aziendali. Dovrebbero anche adattare i loro metodi di riscossione dei contributi previdenziali e pensionistici per sfruttare a pieno le opportunità offerte dalla digitalizzazione.

Infine, le piattaforme della sharing economy sono invitate a cooperare attivamente con le autorità nazionali per stabilire dei parametri per lo scambio di informazioni sugli obblighi fiscali.

I commenti

“Perché l'economia europea sia competitiva c'è bisogno di innovazione, applicata sia ai prodotti che ai servizi. La prossima impresa europea da un miliardo di dollari potrebbe nascere nel contesto dell'economia collaborativa. Il nostro ruolo è quello di incoraggiare un contesto normativo che permetta ai nuovi modelli imprenditoriali di svilupparsi proteggendo i consumatori e garantendo condizioni eque sia in materia fiscale che di occupazione”, dichiara il commissario Ue per la Crescita Jyrki Katainen.

“L'economia collaborativa può essere un'opportunità per i consumatori, gli imprenditori e le imprese se facciamo le scelte giuste. Se permettiamo al nostro mercato unico di frammentarsi a livello nazionale o persino locale, è l'Europa nel complesso che rischia di perderci. Gli orientamenti giuridici che forniamo sono rivolti alle autorità pubbliche e agli operatori del mercato per lo sviluppo bilanciato e sostenibile di questi modelli imprenditoriali. Invitiamo gli Stati membri a riesaminare le loro normative nazionali alla luce di tali orientamenti e siamo pronti a sostenerli in questo processo”, dichiara la commissaria Ue per il Mercato interno Elzbieta Bienkowska.

> Comunicazione relativa all'agenda europea per l'economia collaborativa 

Photo credit: Jirka Matousek via Foter.com / CC BY

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