Recovery Fund e digitale, un'occasione unica da non sprecare. Intervista a Diva Tommei, EIT Digital
Il Recovery Fund è un'occasione unica, forse l'ultima, per trasformare il nostro modello produttivo. Per non sprecarla, occorre imparare dagli errori del passato e cambiare marcia. Abbiamo chiesto a Diva Tommei, direttrice di EIT Digital Italia, come scriverebbe la missione Digitalizzazione del Recovery Plan.
> Nel Recovery plan dell'Italia meno di 50 miliardi per il digitale
CEO di Solenica, startup che si occupa di prodotti intelligenti e accessibili per gli interni, Diva Tommei è stata l'unica italiana nella classifica europea Forbes sulle 50 "Top Women in Tech". Oggi è node director per l’Italia di EIT Digital, il braccio dell’European Institute of Innovation and Technology della Commissione Europea, che si occupa di favorire l’innovazione digitale.
L'Italia, purtroppo, non brilla per spesa dei fondi europei. Stando a un'elaborazione recente di Confindustria Digitale, l'avanzamento dell’Obiettivo tematico 2 “Agenda digitale” mostra con evidenza il ritardo italiano: su 22.215 progetti presentati, solo 11.328 sono arrivati a conclusione. E sono stati spesi appena 495 milioni su 3,3 miliardi, il 15% delle risorse. Cosa servirebbe per cambiare rotta?
Effettivamente, il nostro Paese, anche se con esperienze molto diversificate al suo interno, non ha brillato per l’utilizzo dei fondi europei. A mio avviso questo dipende principalmente da due elementi: visione ed organizzazione. Da un lato, nella fase di design della programmazione c’è stata spesso una frammentazione delle risorse e quindi una scarsa concentrazione su pochi obiettivi ben definiti, rispondenti a chiare scelte strategiche. Mi riferisco a come immaginiamo il nostro paese nel 2050, da cui derivano le diverse strategie settoriali, come la politica ambientale, energetica ed industriale.
Dall’altro, la nostra pubblica amministrazione ha subìto negli anni dei tagli molto forti e conseguentemente uno svuotamento di competenze che rendono molto difficile un’attuazione efficace, quella che in inglese si chiama “execution”. Bisogna ripensare la macchina, basandola sul raggiungimento di obiettivi concreti e specifici e allo stesso tempo tornare ad assumere figure professionali tecniche e di coordinamento a supporto dei processi interni. Il Ministro Provenzano sta lavorando in questa direzione e spero che abbia successo.
I 209 miliardi del Recovery Fund che spettano all’Italia sono oltre quattro volte i fondi strutturali della programmazione 2014-2020, ma vanno spesi in tempi più brevi. Non si rischia di ricadere negli stessi meccanismi che ci impediscono di spendere bene, e in fretta, i fondi UE?
C’è senz’altro questo rischio, se non impariamo da quello che non ha funzionato in passato. Tuttavia, credo che il livello dell’attenzione pubblica sia più alto in questo momento. È chiaro che non possiamo permetterci di sprecare quest’occasione unica (e ultima) per trasformare il nostro modello produttivo verso una vera sostenibilità ambientale e anche, sociale. Su questo è molto importante il ruolo di guida assunto dalla Commissione Von der Leyen nel puntare a creare un’Europa più giusta, più resiliente e più sostenibile. Si chiama Next Generation EU non a caso. Se già partissimo con un Piano per l’uso di questi fondi con in mente il Paese che vogliamo tra 10 anni, saremmo sicuramente a metà dell’opera.
Se le chiedessero di "scrivere" la missione Digitalizzazione e Innovazione tecnologica del Recovery Plan, su cosa si concentrerebbe?
La tecnologia e l’innovazione di per sé sono concetti neutrali, degli strumenti per i quali deve essere definita qual è la finalità ultima che vogliamo raggiungere. Innoviamo per abbassare i costi di produzione o per non impattare sull’ambiente? Penso che l’innovazione tecnologica sia fondamentale per il perseguimento della sostenibilità ambientale del nostro sistema produttivo. Con questo in mente è fondamentale creare ecosistemi di innovazione, mettere in contatto mondi che oggi non si parlano, quello delle Università, dei centri di ricerca, delle grandi imprese e delle start-up, in modo da alimentare progetti di innovazione e di ricerca avanzata. Contaminazione è la parola chiave, quella su cui lavoriamo con EIT Digital.
In generale, occorre contaminare con la tecnologia le nostre imprese tradizionali, come quelle agricole o artigianali perché innovino il loro modello produttivo in modo rigenerativo. Bisogna investire nell’economia circolare, nell’impiantistica per il riciclaggio dei rifiuti, creando dei cicli di riutilizzo dei prodotti, e delle economie vere e proprie sul riuso delle materie prime. E tanta tanta formazione del capitale umano, a partire dai cicli scolastici primari fino ai programmi di riqualificazione degli adulti già inseriti nel mondo del lavoro.
La pandemia, con l’utilizzo massiccio della didattica a distanza e dello smart working, ci ha fatto rendere conto di quanto siamo indietro in termini di connettività digitale. Non si può non partire quindi da un’accelerazione della copertura della banda ultralarga in tutte le aree del Paese, anche quelle rurali, distanti dalle grandi Città.
Aumentare le interconnessioni tra ricerca e imprese attraverso il trasferimento tecnologico potrebbe trasformare l'ecosistema italiano, aprendolo davvero all'innovazione. Ci sono esempi cui il Paese dovrebbe ispirarsi o best practices da seguire?
Per tutti quelli che si occupano di innovazione è impossibile non prendere come modello l’Istituto Fraunhofer, in Germania. Una rete costituita da una sessantina di sedi diffuse su tutto il territorio tedesco, con decine di migliaia di dipendenti, in cui interagiscono imprese locali e ricercatori e ogni istituto ha un focus tematico specifico di ricerca applicata, sviluppata in modo interdisciplinare (tecnologia radar, biologia molecolare ed ecologia applicata, ricerca applicata ai polimeri ecc.).
Anche in Italia abbiamo esempi virtuosi, che tutt’ora rappresentano delle eccezioni, ma che hanno già ottenuto risultati e riconoscimenti importanti. Penso al TechPark a Bolzano, un luogo futuristico in cui cooperano imprese, startup e ricercatori universitari e centri di ricerca su progetti di ricerca e sviluppo in alcuni settori come il green, food, automotive e automotion. O il Polo universitario di San Giovanni a Teduccio, costruito proprio grazie ai fondi europei, un progetto di rigenerazione urbana di uno spazio industriale abbandonato diventato luogo di ricerca e innovazione tecnologica. E’ sulla valorizzazione e la diffusione di questi esperimenti riusciti che dobbiamo puntare come Paese.
Guardando alla programmazione 2021-27: in che modo EIT digital sosterrà le imprese che intendono accedere ai futuri bandi di Horizon Europe e Digital Europe? Sono previsti meccanismi per incentivare le sinergie tra fondi UE?
La missione di EIT Digital è quella di creare un ecosistema pan europeo e multidisciplinare di partner tra università, centri di ricerca e industria, che insieme vogliano portare la trasformazione digitale su tutto il territorio europeo attraverso la formazione di nuovo talento digitale da un lato e la co-creazione di future imprese tecnologiche native digitali dall’altro.
EIT Digital istituisce ogni anno una Open Call nel periodo di marzo-maggio durante la quale chiede a gruppi di propri partner, che devono essere multidisciplinari (università, istituti di ricerca, industria) e internazionali (almeno due paesi devono essere rappresentati), di fare proposte per la creazione di nuove imprese con al centro lo sviluppo di nuovi prodotti o servizi innovativi.
In queste proposte EIT Digital co-investe insieme ai propri partner attraverso i fondi messi a disposizione dall’EIT nell’ambito del nuovo framework Horizon Europe. Nelle proposte che seleziona, EIT Digital co-investe insieme ai propri partner fino a 600.000 euro.
Gli investimenti considerati chiave per EIT Digital nell’ambito di una efficace trasformazione digitale sono quelli in intelligenza artificiale, cybersecurity, networking e telecomunicazioni. Accanto a questi ne effettua altri che ritiene fondamentali per lo sviluppo dell’ecosistema innovativo europeo nell’ambito delle smart cities, fintech, well-being e industria digitale. Attraverso questi investimenti EIT Digital si pone l’obiettivo di supportare la nascita di un nuovo tessuto imprenditoriale nativo digitale e nell’arco dei prossimi dieci anni far si che almeno un terzo delle imprese nella lista globale delle TOP50 risultino europee.