Clima – l'inerzia politica ha costi altissimi. Cosa fa la UE?
Le calamità naturali hanno causato danni per 450 miliardi di euro in Europa, e l’Italia è il paese più colpito. Ecco come si stanno muovendo le istituzioni UE.
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I numeri suonano come un allarme: tra il 1980 e il 2016 l'Italia ha subito danni per 64,9 miliardi di euro a causa di eventi climatici estremi.
Tra i 33 paesi dello spazio economico europeo (See), il Belpaese è quello che ha registrato le perdite economiche più ingenti ed è secondo per numero di vittime, oltre 20mila, dopo la Francia (23mila).
Se si guarda poi alle perdite economiche totali riportate a causa degli eventi climatici estremi nei 33 paesi presi in considerazione, le cifre non rincuorano: in 36 anni, infatti, i danni hanno superato i 450 miliardi di euro.
A dirlo, il rapporto sull'adattamento ai cambiamenti climatici e la riduzione del rischio da disastri nell'UE dell'Agenzia europea per l'Ambiente.
Strategie per il clima: l’inerzia ha costi altissimi
La maggior parte dei danni è stata causata dalle inondazioni (40%), seguite da tempeste (25%), siccità (circa il 10%) e ondate di calore (circa il 5%). E il Nord Italia, secondo l’Agenzia, è una delle aree che in futuro potrebbe vedere aumentato il rischio alluvione, insieme alle isole britanniche e all'Europa occidentale.
“La portata della devastazione causata dagli incendi boschivi, dalle alluvioni e dalle mareggiate in Europa e nel mondo dimostra che i costi dell’inerzia sul fronte dei cambiamenti climatici e delle strategie e piani di adattamento e prevenzione sono estremamente alti. La mitigazione del rischio è essenziale, in quanto assicura azioni efficaci prima, durante e dopo eventi catastrofici”, dichiara il direttore esecutivo dell’Agenzia Hans Bruyninckx.
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L’UE dovrebbe fare di più
L’invito viene da Strasburgo: in vista del prossimo round dei colloqui climatici dell'ONU, che si svolgeranno a Bonn dal 6 al 17 novembre, gli eurodeputati invitano la Commissione a definire una strategia “emissioni zero” entro il 2018.
Poiché tutte le parti dell’UNFCCC sono invitate a comunicare entro il 2020 le loro strategie a lungo termine, i deputati esortano l’Esecutivo UE a preparare entro il 2018 una strategia per un’UE a zero emissioni entro il 2050, allo scopo di mantenere l'aumento della temperatura media mondiale ben al di sotto di 2°C e proseguire gli sforzi per limitare tale aumento a 1,5°C.
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Del resto, di fronte alla decisione annunciata dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump di ritirarsi dall’accordo di Parigi, la risposta globale dev’essere forte. A partire dal fronte dei finanziamenti per il clima.
Nel documento approvato in plenaria si chiedono impegni concreti da parte dell’UE e a livello internazionale per trovare altre fonti di finanziamento: le pratiche per i prestiti e per gli investimenti dovrebbero allinearsi con l’obiettivo di contenere l’aumento della temperatura ben al di sotto dei 2°C, incluso l’abbandono degli investimenti in favore dei combustibili fossili.
Gli eurodeputati accolgono con favore lo sviluppo di sistemi di scambio di quote di emissione (ETS) a livello mondiale, compresi i 18 sistemi attualmente operativi in quattro continenti. Incoraggiano la Commissione a promuovere collegamenti tra l'ETS dell'Unione e gli altri sistemi di scambio di quote di emissione, allo scopo di ridurre il rischio di rilocalizzazione delle emissioni di carbonio (il cosiddetto carbon leakage).
Il Consiglio UE raggiunge un accordo sulle emissioni
Il 13 ottobre, i ministri dell'Ambiente hanno raggiunto un accordo su obiettivi vincolanti di riduzione delle emissioni nei settori agricoltura, trasporti e foreste per il periodo 2021-2030.
Il Parlamento europeo aveva adottato la propria posizione sul tema nel corso della plenaria di giugno. Con la posizione espressa dal Consiglio, i negoziati fra le istituzioni europee possono prendere il via.
Sostanzialmente, la posizione adottata dai ministri dell’Ambiente UE ha mantenuto i principali elementi della proposta della Commissione, ossia:
- per ciascuno Stato membro sono fissati obiettivi annuali di riduzione delle emissioni per il periodo 2021-2030, compresi tra lo 0% e il 40% in meno rispetto ai livelli del 2005, sulla base del PIL pro capite e in linea con l'obiettivo di riduzione dell'UE del 30% per i settori non ETS;
- ciascuno Stato deve seguire un percorso di riduzione delle emissioni per garantirne una diminuzione costante nell'intero periodo. Il calcolo partirà dal 2020, come proposto dalla Commissione, mentre il Parlamento europeo chiedeva che tale percorso prendesse il via nel 2018;
- le assegnazioni per gli Stati membri a basso reddito, che erano autorizzati ad aumentare le loro emissioni fino al 2020 rispetto ai livelli del 2005, sono adattate per tenere conto dell'aumento autorizzato tra il 2017 e il 2020;
- le flessibilità esistenti previste dalla decisione in vigore sulla condivisione degli sforzi sono state mantenute per aiutare gli Stati membri a raggiungere i loro limiti annuali. Vi rientrano l'accumulo e il prestito delle assegnazioni annuali di emissioni da un anno all'altro nel periodo 2021-2030, nonché i trasferimenti tra paesi. Sono state inoltre integrate le "nuove" flessibilità proposte, ossia la cancellazione una tantum delle quote ETS e la flessibilità nel settore LULUCF (uso del suolo, cambiamenti di uso del suolo e silvicoltura).
L'orientamento generale del Consiglio prevede inoltre una riserva di sicurezza per gli Stati membri meno prosperi che, sebbene superino i loro obiettivi nel periodo attuale (2013-2020), possono avere difficoltà a raggiungere i loro obiettivi per il 2030. Tale riserva, che contiene un totale di 115 milioni di tonnellate di CO2 equivalente, sarà disponibile nel 2032. Tuttavia gli Stati membri ammissibili dovranno osservare condizioni rigorose.
La riserva di sicurezza potrà essere utilizzata solo nel caso in cui l'UE realizzi il suo obiettivo per il 2030, garantendo così che sia mantenuto il livello di ambizione della politica climatica europea. L'orientamento generale comprende anche un lieve adeguamento supplementare (2 milioni di tonnellate in totale) dell'assegnazione per gli Stati membri in circostanze eccezionali, vale a dire la Lettonia e Malta.
Finanziamenti per il clima: contributo Ue ai paesi in via di sviluppo oltre i 20 miliardi
I contributi dell'UE e degli Stati membri volti a sostenere i paesi in via di sviluppo nel ridurre le emissioni di gas a effetto serra e nell'affrontare gli effetti dei cambiamenti climatici sono stati pari a 20,2 miliardi di euro nel 2016.
Rispetto al 2015 (quando tale contributo ammontava a 17,6 miliardi), si è registrato un aumento di 2,6 miliardi.
Tale cifra include le fonti di finanziamento per il clima provenienti dai bilanci pubblici e da altre istituzioni finanziarie di sviluppo, 2,7 miliardi di euro di finanziamenti per il clima provenienti dal bilancio dell'UE e dal Fondo europeo di sviluppo e 1,9 miliardi provenienti dalla Banca europea per gli investimenti.
L'importo totale è stato confermato il 16 ottobre nel corso di una riunione del Comitato di politica economica dell'UE, in vista della conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici che si terrà a Bonn.
Si tratta di un dato importante per l'attuazione della COP21, in base alla quale le economie più sviluppate devono istituire entro il 2020 un fondo da 100 miliardi di dollari per aiutare i paesi più fragili a mettere in pratica strategie per ridurre le emissioni e adattarsi ai cambiamenti climatici.
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