Emergenza Covid-19: i modelli di gestione della crisi e il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco
Nei momenti di emergenza, come quello in corso, è necessario garantire l’efficienza degli interventi mirati al sostegno del tessuto sociale su tutto il territorio nazionale. Il coronavirus, nemico invisibile che ha messo in ginocchio l'Italia e il mondo intero, rende necessario un cambiamento nella gestione della crisi anche da parte del Corpo nazionale dei Vigili del fuoco: si punta sull'interoperabilità dei dati.
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Il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco ha rappresentato un importante tassello nella lotta all'emergenza Covid-19. Dal trasporto alla logistica, il loro contributo è risultato essenziale e frutto di nuovi modelli per affrontare la crisi.
Nello specifico, ecco alcune risposte sull'attuale pandemia date dall'Ingegner Stefano Marsella, direttore della Regione Abruzzo del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco.
In piena emergenza Covid-19 perché è importante tornare a parlare di interoperabilità delle sale operative?
Per spiegare questo passaggio si può usare una immagine simbolo del terremoto del 2009 in Abruzzo: la Direzione comando e controllo (DICOMAC) che si presentava come un’enorme sala, con centinaia di persone intente a lavorare su tavoli raggruppati per settori operativi. Questo modello non potrebbe essere adottato con una pandemia del tipo Covid-19 in atto perché si rischierebbe di contagiare i gangli decisionali nel momento più critico. Per fortuna, ma anche grazie ad un'intensa attività finanziata dall'Europa, esiste una soluzione già provata ed adottata in Italia dai Vigili del Fuoco.
Quali sono in sintesi le soluzioni a questo problema?
In Italia, come all’estero, il modello di gestione delle crisi si fonda in larga parte sulla partecipazione di rappresentanti di diversi Enti a tavoli di gestione. In questi tavoli, di solito, per prendere decisioni si analizzano congiuntamente i dati di cui dispone ogni Ente. Parte di questi vengono messi a fattore comune e sono scambiati, mentre altri rimangono nell’ambito della singola organizzazione.
In ogni caso, il modello riguarda questa duplice forma di interazione, che non è facilmente sostituibile con una videoconferenza. La distanza fisica, infatti, obbligherebbe a inviare i dati per mail o attraverso qualsiasi altro canale di condivisione, ma generebbe dopo poco tempo confusione. Questo perché nella presenza fisica il livello di interazione è molto più complesso di quello che può essere riprodotto da una videoconferenza. Per aiutare a lavorare quando il contatto fisico va evitato, dobbiamo pensare a qualcosa da associare alla videoconferenza che ripristini almeno parte della rete si scambio a cui siamo abituati. Una risposta può essere quella dell’interoperabilità dei dati.
In che modo l’interoperabilità, cioè un protocollo comune di scambio dati, può aiutare la gestione delle crisi?
I progetti cofinanziati dall’Unione Europea, ai quali abbiamo partecipato come Corpo nazionale dei Vigili del fuoco, ci mostrano che un pò ovunque si ripropongono gli stessi problemi, che solo in parte hanno a che fare con ostacoli tecnologici. In pratica, mi riferisco al fatto che i sistemi di gestione dei dati dei diversi Enti coinvolti che non "parlano" tra loro.
Anche in Italia non esiste un protocollo unico per i sistemi di supporto alla gestione delle emergenze, il che è un pò strano se si pensa che il Codice dell’Amministrazione Digitale, fin dal 2005, ha imposto un protocollo unificato per le attività amministrative degli enti centrali e locali e che questo standard funziona molto bene.
Se, come hanno mostrato eventi disastrosi quali l’uragano Katrina del 2005, l’impossibilità di comunicare dati tra enti diversi rende enormemente più difficile gestire il soccorso, l’uso corretto di un protocollo permette ad ogni Ente di usare i propri sistemi e di ricevere le informazioni utili in modo da trovarle dove il proprio dove servono. In questo modo si evita di far fare all’uomo un lavoro di decodifica e di inserimento che la macchina fa meglio, con velocità e precisione molto superiori.
Ma il 112 Numero Unico di Emergenza non ha già risolto il problema?
Il 112NUE è un sistema nato per consentire ai cittadini europei di chiedere il soccorso mettendosi in contatto in modo rapido con chi invia i soccorritori. Esso, quindi, risolve il problema della comunicazione che in gergo è chiamata "C2A "(Citizen to Authority). La gestione delle crisi è un problema tra organi di gestione dell’emergenza (Authority to Authority “A2A"). Sono sistemi molto diversi, perché hanno finalità del tutto diverse, sebbene l’uso di un protocollo unico tra tutti questi sistemi (aggiungendo anche la comunicazione ai cittadini in emergenza “A2C”) appare essere il destino di una gestione virtuosa dei dati per le attività di soccorso.
Come si colloca l’Italia a livello internazionale nei riguardi dell’interoperabilità in emergenza?
Il Corpo nazionale dei Vigili del Fuoco partecipa ininterrottamente dal 2005 a progetti di ricerca cofinanziati dall'UE. La maggior parte di questi riguarda la ricerca e l’innovazione tecnologica per migliorare il soccorso. In questi anni, abbiamo usato i fondi e le conoscenze acquisite con i progetti comunitari per rendere il sistema informativo di gestione del soccorso del Corpo pienamente interoperabile.
Nel 2008 e nel 2011, con due decreti dipartimentali, è stata stabilita la possibilità per il Corpo di aprire le proprie basi dati a qualsiasi ente, purché utilizzasse il protocollo scelto, cioè il CAP (Common Alerting Protocol). Il Corpo ha attivato accordi di scambio dati con l’Arma del Carabinieri e con alcune organizzazioni che hanno adottato il CAP per comunicare in modo univoco o biunivoco, i dati utili per le parti.
Nel corso degli anni il Department of Homeland Security degli Stati Uniti, la Protezione civile della Repubblica Popolare Cinese e il ERCC (European Response Coordination Center) della UE hanno adottato lo stesso standard, insieme ad un numero elevato di altre organizzazioni un pò in tutto il mondo.
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