SACE: dal 2021 l’export italiano crescera' del 9,3 per cento
Se tutto va come deve andare, dal prossimo anno l’export italiano dovrebbe tornare a crescere, segnando un +9,3% nel 2021 e un +5,1% in media nel biennio successivo. La ripresa però sarà diversa a seconda dei settori e dei paesi. Recupero rimandato al 2023, invece, in caso di nuovi lockdown. A dirlo è SACE nel nuovo report sulle esportazioni.
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Fare previsioni al tempo della pandemia non è semplice. Ci prova SACE con il suo 14° Rapporto sull’export titolato significativamente “Open (again)”. Una vera e propria bussola su come e dove dovrebbero tornare a crescere le nostre esportazioni, che tiene conto di possibili nuovi lockdown e invita le imprese ad adottare una strategia selettiva e costante per intercettare i giusti “incroci” tra destinazioni più reattive e settori più dinamici.
Quando tornerà a crescere l’export italiano, e di quanto?
Il numero che tutti noi vorremmo si concretizzasse è quel +9,3,% che segna la previsione sulla ripresa delle esportazioni italiane nel 2021. Un incremento dunque relativamente rapido del nostro export già dal prossimo anno, a cui dovrebbe eseguire una crescita media nei due anni successivi del 5,1%.
Un ritmo non trascurabile, insomma, se si confronta con il 3% medio annuo registrato tra il 2012 e il 2019 e che permetterebbe alle nostre vendite di beni all’estero di raggiungere quota 510 miliardi di euro alla fine dell’orizzonte di previsione.
Secondo queste previsioni - afferma quindi il report - nel 2021 le esportazioni italiane di beni arriveranno al 97% circa del valore raggiunto nel 2019, segnando un recupero pressoché totale dopo la caduta nel 2020.
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Come scegliere i paesi e su quali settori puntare?
Si tratta chiaramente di una percentuale di crescita che non sarà uguale in tutti i mercati. Con la pandemia ancora in atto, infatti, la ripresa delle singole economie nazionali è molto variegata. A ciò si aggiungono altri elementi che da anni, ormai, influenzano il commercio internazionale, come il protezionismo o l'instabilità geopolitica.
Meglio quindi adottare - suggerisce SACE - una strategia selettiva e costante per intercettare i giusti “incroci” tra destinazioni più reattive e settori più dinamici.
Tra questi “giusti incroci” figurano anzitutto la Germania, soprattutto per il settore delle scienze della vita, e gli Stati Uniti per l'agroalimentare. Questi ultimi, però, al netto della capacità di contenere la pandemia.
In Asia, invece, conviene puntare sulla Cina, specialmente nel settore salute e farmaceutica, a cui si aggiungono:
- L’India per il food processing;
- Il Giappone per il food&beverage;
- La Thailandia per le energie rinnovabili, visti gli incentivi nel settore.
E poi ancora: Svizzera, Russia, Repubblica Ceca, Corea del Sud, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita, Marocco e Vietnam.
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Che succede all’export in caso di nuovi lockdown
Purtroppo con la pandemia che corre ancora veloce e le incognite legate all’autunno-inverno, la ripresa dell’export potrebbe non essere così vicina.
Se nei primi mesi del 2021, infatti, ci dovesse essere un nuovo lockdown su scala globale, l’export italiano nel 2020 potrebbe crollare del -12%.
Scenario ancora peggiore nel caso in cui le restrizioni all’attività economica e le misure di distanziamento sociale attualmente in atto in molte geografie, fossero allentate in maniera più lenta e graduale rispetto allo scenario base. In questo caso, infatti, il crollo dell’export italiano nel 2020 segnerebbe un -21,2%.
In entrambi i casi, quindi, il 2021 non sarebbe più un anno di “rimbalzo”, ma vedrebbe una crescita ancora negativa nel primo e soltanto lievemente positiva nel secondo scenario alternativo, portando a un pieno recupero dei valori esportati nel 2019 non prima del 2023.
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Che succede agli investimenti esteri?
Anche gli investimenti diretti esteri (IDE) sono in marcata contrazione. Davanti ad un clima così incerto, infatti, i maggiori investitori hanno adottato posizioni attendiste, a cui si aggiungono altri elementi come i minori profitti realizzati dalle controllate estere, e la conseguente contrazione nel reinvestimento degli utili, e i disinvestimenti da parte delle multinazionali in difficoltà, che opteranno per la vendita o liquidazione delle proprie attività all’estero.
Il calo degli IDE avrà chiaramente declinazioni differenti su geografiche e settori, risultando più marcato in quei sistemi maggiormente integrati nei processi produttivi internazionali.
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Quali saranno le conseguenze nell’export che resteranno anche dopo il Covid?
Al di là dei diversi scenari sulla “fine” della pandemia, il Covid avrà comunque delle conseguenze che rimarranno nelle dinamiche delle esportazioni, ben oltre la sua “scomparsa”.
Tra queste, l’e-commerce su cui il nostro Paese sconta ancora ritardi eccessivi rispetto ai principali competitor. Tanto da spingere il governo a inserirlo tra le priorità dell’azione dell’ICE che infatti, entro la fine di quest’anno, punta ad avere accordi con 24 marketplace nel mondo.
Infine anche le catene globali del valore (GCV) molto probabilmente non saranno più le stesse dopo il Covid, subendo una generalizzata tendenza ad accorciarsi.
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