Fondi PNRR per il Sud a rischio: con i crediti d'imposta impossibile blindare le risorse
La modifica del PNRR mina l'impegno ad assicurare il 40% dei fondi al Mezzogiorno. Gli investimenti definanziati erano per metà destinati al Sud e potranno essere coperti con fondi europei e nazionali della Politica di Coesione a patto di chiudere velocemente il negoziato con Regioni e Commissione UE. Ma le risorse uscite del Recovery per finanziare REPowerEU difficilmente potranno essere indirizzate al Sud, perché il meccanismo dei tax credit funziona sulla base della domanda, che come sempre sarà più forte da parte delle regioni più sviluppate.
Terza Relazione PNRR: progressi su vincolo 40% fondi al Sud
A dare l'allarme sono da una parte la Corte dei Conti, dall'altra l'Associazione per lo sviluppo e l'industria del Mezzogiorno – Svimez, rispettivamente in una memoria e in un'audizione rese al Parlamento il 19 settembre sulla relazione sullo stato di attuazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza aggiornata al 31 maggio 2023.
Le conclusioni sono analoghe. Le modifiche al PNRR previste dal Governo e il capitolo REPowerEU impattano significativamente sull'obiettivo generale di ridurre i divari territoriali tra Nord e Sud del Paese, perchè circa il 50% degli investimenti usciti dal Recovery Plan faceva riferimento al Mezzogiorno.
La copertura – non automatica – delle misure definanziate, e in buona parte già ampiamente avviate, con fondi europei e nazionali della Politica di Coesione richiede un accordo in tempi brevi sulla modifica dei Programmi operativi nazionali e regionali coinvolti ed eventualmente anche dell'Accordo di partenariato.
E in ogni caso i fondi PNRR sottratti al Sud difficilmente torneranno agli stessi territori, perchè destinati in buona parte al capitolo energetico REPowerEU che finanzia gli investimenti principalmente tramite i crediti d'imposta, per loro natura incompatibili con un'allocazione territoriale predefinita delle risorse.
Ma i rilievi - della Svimez in particolare - sui tax credit e sui meccanismi competitivi che in buona parte danno attuazione al PNRR vanno ben oltre la quantificazione dei fondi europei effettivamente vincolati alle regioni del Mezzogiorno e chiamano in causa la capacità del Recovery Plan di tradurre i macro obiettivi dell'Unione e dell'Italia – la coesione territoriale, le transizioni verde e digitale, l'autonomia strategica, ecc – in una politica industriale e in investimenti sociali e infrastrutturali capaci di incidere in maniera duratura sulle diseguaglianze tra le aree del paese.
Evidenziando come il modello competitivo che caratterizza il PNRR - dai bandi per i Comuni agli incentivi per le imprese - finisca per confermare e consolidare i divari territoriali esistenti, l'analisi della Svimez spinge infatti a domandarsi se stiamo davvero sfruttando l'occasione colossale e irripetibile del PNRR per aggredire quei divari di sviluppo e di opportunità, che per chi vive al Sud sono veri e propri divari di cittadinanza.
Accelerare sui fondi della Coesione per gli interventi usciti dal PNRR
Nella sua analisi la Svimez afferma esplicitamente che le proposte di revisione del PNRR “non sono neutrali rispetto agli impegni di allocazione territoriale delle risorse” e che “richiedono una chiara identificazione delle fonti alternative di finanziamento”.
Le 9 misure definanziate, per un valore complessivo di 15,9 miliardi, riguardano per il 47,7% il Mezzogiorno (7,6 miliardi). Alcune di queste misure - in particolare le misure relative alla “Tutela e valorizzazione del verde urbano ed extraurbano”, le due misure incluse tra gli “interventi speciali per la coesione territoriale” e i “Piani urbani integrati-Progetti generali” - non erano oggetto di criticità nella relazione del Governo, ma potrebbero essere state escluse dal PNRR più che altro per il rischio di mancata ottemperanza al principio Do No Significant Harm (DNSH), il che rende lo spostamento su altri contenitori programmatici opportuno. Tanto più che secondo la Svimez in via generale tutte le misure definanziate rientrano nell’ambito degli Obiettivi strategici del FESR.
E' da verificare, però, che cosa sia immediatamente trasferibile sui fondi europei di coesione, considerando i vincoli di concentrazione tematica sugli Obiettivi strategici 1 e 2 previsti dalla programmazione europea 2021-2027 e il necessario passaggio per la modifica, se non per la riscrittura, dei Programmi operativi regionali e nazionali interessati e, in alcuni casi, anche dell'Accordo di partenariato. Anche perchè le risorse nazionali del Fondo sviluppo e coesione (FSC), pure utili allo scopo, sono vincolate per l'80% al Sud e quindi possono coprire in maniera limitata gli interventi definanziati.
Per la Svimez, quindi, il confronto con il sistema delle Regioni e con la Commissione europea dovrebbe arrivare a meta al più presto. E nel frattempo, almeno per gli interventi di particolare rilevanza sociale e con avanzato stato di attuazione, si dovrebbe mobilitare il Fondo di rotazione per coprire temporaneamente le misure ed evitare interruzioni del processo attuativo.
Il richiamo a fare in fretta torna nell'analisi della Corte dei Conti, che raccomanda di finalizzare tempestivamente la modifica del Piano “sia per le iniziative che devono continuare medio tempore a trovare attuazione nel contesto del PNRR sia per quelle che sono attese uscire dal perimetro di quest’ultimo”. Ma torna anche nel report sull'attuazione del Recovery and Resilience Facility pubblicato sempre il 19 marzo dalla Commissione europea: "l’attuazione del PNRR dell’Italia è in corso, ma con un crescente rischio di ritardi”, rileva Bruxelles, secondo cui occorre “procedere rapidamente con l'attuazione del Piano e con la negoziazione della sua modifica”, anche considerando la sua natura temporanea, fino al 2026.
I crediti d'imposta REPowerEU sposteranno le risorse dal Sud al Nord
L'analisi della Svimez e della Corte dei Conti si concentra poi sull'impatto sul Mezzogiorno del capitolo energetico del PNRR, che vale in tutto 18,7 miliardi di euro. Nel mirino, in entrambi i casi, c'è la scelta di concentrare le risorse del REpowerEU soprattutto sugli incentivi fiscali.
E se la Corte osserva che l'ampio utilizzo dei crediti di imposta “risponde alla necessità di agevolare un rapido impiego delle risorse”, ma poi “rende più difficile il riferimento alle quote di riserva previste per il Mezzogiorno”, la Svimez avverte che si tratta di una strategia che di rischia di rafforzare i divari quantitativi e qualitativi tra le strutture produttive del Nord e del Sud.
In questo modo, osserva infatti l'Associazione, il REPower italiano rinuncia a mettere in atto “un approccio di politica industriale maggiormente focalizzato su strumenti di accompagnamento alla trasformazione strutturale dell’apparato produttivo” e quindi capace di “espandere la capacità produttiva europea nella componentistica funzionale ai nuovi settori strategici della transizione verde (fotovoltaico, eolico, idrogeno, batterie per l’automotive) e rimuovere, per questa via, i fattori di dipendenza strutturale”.
Il sistema dei crediti di imposta si limita piuttosto a riflettere lo status quo, confermando e consolidando i divari esistenti, perchè le risorse finanziarie sono “allocate in base alla dinamica 'spontanea' delle richieste giudicate ammissibili, che a sua volta riflette la distribuzione delle imprese attive e dei relativi investimenti nelle diverse macroaree”, con la naturale conseguenza che “i territori a imprenditorialità meno diffusa accedono in misura molto limitata agli incentivi, beneficiando di una parte molto esigua di risorse”.
Questa critica, in realtà, non riguarda solo i fondi REPowerEU per l'autonomia energetica e la trasformazione green delle imprese, ma anche gli investimenti sociali e infrastrutturali, e genera degli interrrogativi sulla capacità del PNRR di mettere in atto azioni diversificate, o di modulare gli strumenti, sulla base dei fabbisogni e delle caratteristiche dei diversi territori e ambiti di intervento.
La relazione sul PNRR pubblicata nel marzo scorso dalla Corte dei Conti già metteva in fila molti di questi problemi: il fatto che i fondi sono condizione necessaria ma non sufficiente per lo sviluppo del Sud, il tema della capacità di assorbimento da parte di territori con una dinamica economica debole, la fretta che ha portato a sacrificare i tempi di progettazione delle misure e quindi anche il valore addizionale dei fondi europei. A titolo di esempio la Corte portava gli incentivi per la digitalizzazione, progettati e assegnati in maniera orizzontale, senza guardare ai divari specifici delle regioni meridionali.
Per approfondire: PNRR e Coesione non bastano a ridurre il divario Nord-Sud
L'intervento della Svimez va ad evidenziare questi limiti anche rispetto agli interventi di carattere sociale e infrastrutturale. “Il sistema dei bandi - ricorda l'Associazione - ha interessato molti degli interventi sulle infrastrutture sociali (scuole, assistenza sociale, rigenerazione urbana), ma anche altri ambiti fondamentali dei servizi territoriali, quali la valorizzazione del territorio e l’efficienza energetica dei Comuni o quelli, assolutamente strategici, volti a migliorare la capacità di gestione efficiente e sostenibile dei rifiuti e il paradigma dell’economia circolare”. Ma “mettere in competizione le amministrazioni locali ha significato perdere di vista i beneficiari finali degli investimenti: cittadini e imprese”.
E se nell'immediato, per la Svimez, questi difetti di impostazione “si sono tradotti in un processo di attuazione incerto che richiederà interventi più decisi volti a rafforzare la governance territoriale nelle regioni a minore capacità amministrativa”, pena il permanere delle criticità e dei ritardi rilevati sin dall'avvio del Piano, nel lungo termine viene da chiedersi quanto l'immane sforzo - amministrativo e finanziario - del PNRR potrà rivelarsi veramente l'occasione per dare risposte ai tanti bisogni del paese, soprattutto di quella parte che le aspetta da più tempo.
Per approfondire: Le incognite sulle partite incrociate tra fondi europei, PNRR e aiuti di Stato
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