Rapporto Draghi: tenere insieme decarbonizzazione e competitività

 

Foto di Zbynek Burival su UnsplashIntervenendo ieri al Parlamento europeo, Mario Draghi è tornato a parlare anche dell’importanza di tenere insieme la decarbonizzazione e la competitività. Per farlo, oltre ad agire per ridurre i costi dell’energia mediante un mix di interventi (tra cui il nucleare), sarà importante tutelare il settore europeo del cleantech (che, nonostante sia stato pioniere su molti fronti, oggi perde terreno rispetto al Cina), nonché prevedere aiuti sostanziosi alle industrie hard to abate.

Cosa prevede il Rapporto Draghi

Il messaggio chiave del rapporto Draghi su questo fronte è, dunque, quello di tenere assieme politiche differenti - che per come sono attualmente strutturate, rischiano di viaggiare scollegate tra loro - prevedendo un piano comune di interventi che da un lato favorisca la decarbonizzazione (per rispettare gli obiettivi climatici che l’UE si è posta), ma dall’altro non sacrifichi la competitività.

Un percorso non facile, costellato da ostacoli molto diversi tra loro che vanno da una serie di limiti specifici dell'Europa (elevati costi dell’energia, normative stringenti, strozzature nelle reti e i limiti complessivi nel sistema di supporto all’innovazione) ad una serie di fattori esogeni come la concorrenza cinese, il protezionismo americano e la volatilità dei prezzi dell’energia.

Per tenere insieme tutte le diverse tessere del mosaico, il rapporto Draghi non ha una ricetta unica, bensì una serie di raccomandazioni che incidono sulle singole tesserine e che sono definite sulla base di analisi che identificano anche su quali settori valga ancora la pena puntare e su quali, invece, è ormai troppo tardi. 

Rapporto Draghi: la competitività europea è frenata dai costi dell’energia

Il primo ambito su cui Draghi chiede all'Europa di intervenire è quello relativo ai prezzi dell’energia, che rappresentano un freno non solo per l’industria di oggi, ma anche per quella del domani che sarà caratterizzata sempre più dalla digitalizzazione della produzione: un sistema che richiede grandi quantità di energia necessarie per addestrare i modelli di AI, con un fabbisogno energetico che da qui al 2030 dovrebbe passare dal 2,7% al 28%.

“Alla base del divario dei prezzi dell’energia vi sono cause strutturali che possono essere esacerbate da sfide vecchie e nuove. Il differenziale di prezzo rispetto agli Stati Uniti è dovuto principalmente alla carenza di risorse naturali in Europa e al limitato potere contrattuale collettivo dell’Unione, nonostante questa sia il maggior acquirente di gas naturale al mondo. Tuttavia, tale divario è causato anche da problemi di fondo del mercato energetico dell’UE. Gli investimenti in infrastrutture sono lenti e non ottimali, sia per le energie rinnovabili che per le reti. Le norme di mercato impediscono ad aziende e famiglie di cogliere appieno i benefici dell’energia pulita in bolletta. Gli aspetti finanziari e comportamentali dei mercati dei derivati hanno determinato una maggiore volatilità dei prezzi. Una tassazione dell’energia più elevata rispetto ad altre parti del mondo aggiunge un cuneo fiscale ai prezzi”, si legge nel Rapporto.

Per affrontare tali sfide di competitività, il rapporto identifica due obiettivi che dovrebbero essere perseguiti parallelamente.

In primo luogo, il costo dell'energia deve essere abbassato per l'utente finale. I benefici in termini di costi della decarbonizzazione dovrebbero essere anticipati e trasferiti a tutti i consumatori. Per far ciò, ad esempio, l’UE dovrebbe cambiare politica per quanto concerne il mercato del gas puntando a rendere meno volatili i prezzi e a far valere il suo peso negoziale, dato che l’Unione è il primo importatore al mondo di gas naturale.

In secondo luogo, la decarbonizzazione deve essere accelerata. Per raggiungere questo obiettivo, tutte le tecnologie e le soluzioni disponibili (ad esempio energie rinnovabili, nucleare, idrogeno, batterie, risposta alla domanda, implementazione delle infrastrutture ed efficienza energetica e tecnologie CCUS) devono essere sfruttate adottando un approccio neutrale dal punto di vista tecnologico e sviluppando un sistema complessivamente efficiente in termini di costi.

Rapporto Draghi: tutelare il settore cleantech europeo

Oltre a ridurre i costi dell'energia, per tenere insieme la decarbonatazione e la competitività, ponendo anzi la prima a servizio della seconda, il rapporto pone un’attenzione specifica sull'importanza di tutelare e valorizzare il settore europeo delle tecnologie pulite.

Un settore su cui l’UE è ancora all'avanguardia - essendo stata pioniera in molte tecnologie e applicazioni- ma su cui oggigiorno sta perdendo le proprie posizioni di vantaggio a causa delle debolezze del suo ecosistema innovativo, e questo nonostante le dimensioni del mercato interno dell’Unione.

Nel complesso - si legge quindi nel rapporto - nonostante l’ambizione dell’Unione di mantenere e sviluppare la capacità produttiva nel settore delle tecnologie pulite, vi sono numerosi segnali di un’evoluzione nella direzione opposta, con aziende europee che annunciano tagli alla produzione, chiusure e delocalizzazioni parziali o totali. E in alcuni settori, come quello del solare fotovoltaico, l’UE ha già perso le sue capacità produttive e la produzione è ora dominata dalla Cina.

In tale contesto, Draghi suggerisce l’adozione di una strategia mista che combini diversi strumenti e approcci politici per i vari settori. “Si possono distinguere quattro casi generali. 

In primo luogo, ci sono alcuni settori in cui lo svantaggio dell’Europa in termini di costi è troppo grande per poter essere un rivale serio. Anche se l’UE ha perso terreno a causa delle sovvenzioni estere, è economicamente sensato importare la tecnologia necessaria e permettere ai contribuenti stranieri di sostenerne i costi, diversificando il più possibile i fornitori per limitare le dipendenze. 

Il secondo caso riguarda quei settori per cui l’UE esprime preoccupazioni per il Paese di produzione (per proteggere i posti di lavoro dalla concorrenza sleale), ma non per la provenienza della tecnologia sottostante. In questo caso, una combinazione efficace di politiche consisterebbe nell’incoraggiare gli IDE (Investimenti diretti esteri) all’interno dell’UE, adottando al contempo misure commerciali volte a compensare il vantaggio in termini di costi ottenuto grazie alle sovvenzioni estere. 

Il terzo caso riguarda i settori in cui l’UE ha interesse strategico nel garantire che le aziende europee mantengano know-how e capacità produttive rilevanti per poter aumentare la produzione in caso di tensioni geopolitiche. In questo caso l’UE dovrebbe puntare ad aumentare la “bancabilità” a lungo termine dei nuovi investimenti in Europa, ad esempio applicando requisiti di contenuto locale, e a garantire un livello minimo di sovranità tecnologica. Quest’ultimo può essere raggiunto richiedendo alle imprese straniere che vogliono produrre in Europa di entrare in joint venture con aziende locali.

Infine il quarto caso è quello dei “settori nascenti”, in cui l’UE ha un vantaggio innovativo e vede un elevato potenziale di crescita futura. In questo caso vi è un modus operandi ben consolidato che prevede l’applicazione di una gamma completa di misure aventi effetti di distorsione sul commercio fino a quando il settore non arriva a un livello tale da permettere di ritirare tali protezioni”, si legge nel rapporto.

Rapporto Draghi: un occhio di riguardo per le industrie hard to abate

Tra gli altri focus del Rapporto Draghi che parlano di decarbonizzazione e competitività, merita un accenno quello sui settori hard to abate come l'automotive o i trasporti, solo per citarne alcuni.

Queste industrie, si legge nel rapporto, soffrono non solo per gli alti prezzi dell’energia, ma anche per la mancanza di sostegno pubblico per realizzare gli obiettivi di decarbonizzazione e investire in combustibili sostenibili.

Nonostante le massicce esigenze di investimento delle industrie ad alta intensità energetica (EII) e la difficoltà di investire in settori hard to abate, in Europa il sostegno pubblico alla transizione è limitato. Solo una parte residuale delle attuali risorse ETS è destinata alle EII e in questo quadro viene data priorità all’efficienza residenziale, allo sviluppo delle rinnovabili o, recentemente, alla riduzione delle bollette dell’energia. 

In altre regioni del mondo, invece, le EII - pur non avendo gli stessi obiettivi di decarbonizzazione né richiedendo investimenti simili - beneficiano di un sostegno statale più generoso. 

Su tali fronte il rapporto chiede un cambio di rotta da parte dell'Europa, prevedendo sostegni più significativi (non necessari solo finanziari), che ovviamente variano a seconda del settore.

Ad esempio i trasporti - che da soli producono più di un quarto delle emissioni di gas serra - figurano nel Piano della Commissione per gli obiettivi climatici 2040, mentre sono esclusi dai Piani nazionali obbligatori per l’energia e il clima in cui gli Stati membri delineano le loro strategie per realizzare la decarbonizzazione. Questo mancato coordinamento si traduce, ad esempio, in un quadro normativo preciso e vincolante per case automobilistiche e logistica aziendale, il che aumenta la domanda di veicoli elettrici e di infrastrutture di ricarica, senza obbligare in modo analogo i fornitori di energia a offrire un accesso alla rete stabile.

Per maggiori informazioni, consulta il Rapporto Draghi

Foto di Zbynek Burival su Unsplash

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