Investimenti rete idrica: invertire la rotta o crisi strutturale
Ogni anno in Italia vengono sprecati 3,4 miliardi di metri cubi di acqua potabile a causa delle perdite nella rete idrica. Eppure gli investimenti restano ampiamente al di sotto della media europea, a fronte di un cambiamento climatico che nei prossimi anni potrebbe portare ad una riduzione strutturale della disponibilità di acqua nel nostro Paese.
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A dirlo è un recente Rapporto di Eurispes che mette in fila i dati sui consumi e sugli sprechi di acqua nel nostro Paese, insieme a quelli sugli investimenti nella rete idrica e sulle stime dell’impatto dei cambiamenti climatici che - nel nostro Paese - rischiano di essere piuttosto pesanti.
Ad emergere un quadro a tinte fosche, dove all’urgenza di intervenire in maniera rapida e incisiva sulle falle (vocabolo quanto mai azzeccato dato il contesto) risponde una realtà che ritrae ancora una volta un Paese a tre velocità, con un Nord più virtuoso e un Centro e un Sud dove spesso gli investimenti si fermano a 8 euro per abitante l’anno a distanza siderale dal paese europeo più virtuoso (la Norvegia) dove il livello di spesa si attesta sui 226 euro per abitante l’anno.
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Italia: la rete idrica fa acqua da tutte le parti
Partiamo dai dati su consumi e perdite. Sotto il primo aspetto, l’Italia è il paese con i maggiori consumi pro capite di acqua potabile e il secondo per consumi in agricoltura. Siamo infatti al primo posto tra i paesi UE per la quantità, in valore assoluto, di acqua dolce prelevata per uso potabile da corpi idrici superficiali o sotterranei e al secondo posto in termini di prelievi pro capite, con 155 metri cubi annui per abitante, preceduti solo dalla Grecia (158) e seguiti da Bulgaria (118) e Croazia (113).
Anche andando a guardare i dati relativi ai consumi individuali di acqua dal rubinetto, gli italiani si dimostrano essere la popolazione meno virtuosa a livello europeo con oltre 220 litri pro capite consumati giornalmente contro una media europea di 123 litri di acqua per abitante al giorno.
Male anche i dati sul fronte delle perdite idriche nella rete di distribuzione che, nel 2020, sono state pari al 42,2% del volume di acqua immessa, il che equivale ad una perdita pari a 3,4 miliardi di metri cubi di acqua ogni anno. Detta in altro modo - scrivono i ricercatori di Eurispes - in Italia ogni giorno vengono buttati 157 litri al giorno di acqua per abitante pari al fabbisogno idrico di circa 43 milioni di persone.
Su questo fronte esistono chiaramente delle differenze notevoli tra un Nord, tendenzialmente più virtuoso, e un Centro-Sud in cui permangono situazioni di grave criticità. A livello regionale, infatti, le maggiori perdite avvengono in Basilicata (62,1%), Abruzzo (59,8%), Sicilia (52,5%) e Sardegna (51,3%), e, con l’eccezione delle Marche (34,3%) e della Toscana (41,6%), tutte le regioni centro-meridionali hanno livelli di perdite idriche superiori alla media nazionale.
Scendendo a livello comunale, i dati continuano ad essere sconfortanti. Nel 57% dei comuni italiani, infatti, vi sono livelli di perdite superiori al 35% dei volumi d'acqua immessi in rete e, in poco meno della metà di questi le perdite arrivano addirittura a superare il 55%.
A pesare è, ovviamente, anche la vetustà della rete idrica che per il 60% risale ad almeno trent’anni fa (con il 25% di questa quota che avrebbe superato i 70 anni di vita e con diversi centri storici italiani dove vi sarebbero ancora tubature risalenti al periodo post-unitario).
Crisi idrica e cambiamento climatico
Nell'equazione volta a dipingere il quadro complessivo della crisi idrica nel nostro Paese, vanno aggiunti i dati sugli effetti dei cambiamenti climatici.
Da un lato ci sono quelli relativi alla presenza di fenomeni estremi, sempre più diffusi sul nostro territorio, come piogge torrenziali, trombe d’aria e uragani mediterranei che negli ultimi anni si stanno verificando con frequenza sempre maggiore e che non possono più definirsi “eccezionali”, scrive Eurispes.
Strettamente collegati (anche in maniera casuale) ci sono poi i dati sull’innalzamento delle temperature medie (che, tra le altre cose, determinano anche un aumento dell’evapotraspirazione e un incremento dei consumi d’acqua nei differenti comparti d’uso) nonché quelli sulla riduzione dei livelli di precipitazioni, con il 2020 e il 2021 che sono stati tra gli anni meno piovosi dell’ultimo decennio.
Uno dei combinati disposti di questi dati si riflette ad esempio nelle proiezioni a 30 anni che indicano:
- da un lato un costante aumento degli eventi siccitosi, soprattutto estivi e al Sud, con una riduzione degli apporti pluviometrici anche del 30% rispetto alle medie del 1981;
- dall’altro (soprattutto al Nord) un continuo aumento di fenomeni piovosi di grande intensità in grado di scaricare in poche ora la quantità di pioggia che un tempo cadeva nell’arco di diversi mesi.
Su tali dati si innestano poi quelli relativi ad un costruito che negli ultimi decenni ha reso l’Italia un territorio ancora più fragile sia per quanto concerne il rischio di frane e allagamenti, sia per quanto riguarda l’impermeabilizzazione del suolo che ha ridotto le capacità di drenaggio del terreno sottraendo le acque meteoriche al loro ciclo naturale.
Complessivamente negli ultimi anni numerosi studi riguardanti il ciclo dell’acqua hanno evidenziato una costante riduzione della quantità di acqua rinnovabile presente sul nostro territorio, con alcune stime di ISPRA sulla riduzione della disponibilità annua di acqua che vanno da un minimo del 10% (proiezione a breve termine) nel caso si adotti un approccio di mitigazione aggressivo nella riduzione delle emissioni di gas serra, ad un massimo del 40% (che arriva fino al 90% per alcune zone del Sud Italia) nella proiezione al 2100 nel caso in cui i livelli di emissione dei gas serra mantengano gli attuali livelli.
Gli investimenti nella rete idrica italiana
A fronte di tali dati, il quadro degli investimenti infrastrutturali nella rete idrica è sconfortante. Ai giorni nostri, infatti, l’Italia si colloca al terzo posto in Europa nella classifica dei paesi con maggiori disponibilità di acqua. Eppure ciò non ha impedito di essere tra i paesi che in questi anni hanno dovuto affrontare crisi idriche molto serie.
Le cause principali di tali crisi - scrive Eurispes - vanno ricercate, più che negli effetti dei cambiamenti climatici, soprattutto in una cattiva gestione della risorsa stessa. Cioè, in un ciclo dell’acqua che presenta ancora notevoli criticità soprattutto per quanto riguarda le infrastrutture di trasporto e distribuzione. Se a questo si sommano modelli di governance non sempre efficienti e una serie di problematiche (in alcuni casi gravi) legate ai sistemi di depurazione delle acque, si comprende come nel nostro Paese la questione non sia legata alla carenza di acqua quanto alla gestione e all’uso della stessa.
Eppure il livello di investimenti per l’ammodernamento e il rifacimento della nostra rete idrica continua ad essere ampiamente al di sotto della media europea. E ciò nonostante il fatto che, a partire dal 2012, si sia assistito ad un graduale e costante aumento degli investimenti nella rete idrica che sono passati dai 32 euro per abitante del 2012 a 49 euro per abitante nel 2019, a 56 euro/abitante nel 2021. Una tendenza che sembrerebbe confermata dalle stime relative al biennio 2022-2023 quando si dovrebbero raggiungere i 63 euro per abitante.
A livello europeo, però, i fornitori di servizi idrici investono ogni anno (tramite la riscossione di tariffe) all’incirca 45 miliardi di euro in infrastrutture, equivalenti, in media, a poco meno di 82 euro per abitante all’anno. Come già accennato, in testa alla classifica troviamo la Norvegia che all’anno investe con 226 euro per abitante, seguita dalla Gran Bretagna con 135 euro/abitante e dalla Svezia con 109 euro. In Germania ed in Francia invece la spesa media per abitante si attesta rispettivamente a 80 e 88 euro.
Oltre un terzo in più di quanto speso in media in Italia nel 2021 (56 euro per abitante) e più del doppio di quanto investito nel Sud Italia dove l’investimento annuo per abitante si ferma a 32 euro. I motivi, spiegano i ricercatori Eurispes, sono connessi soprattutto al fatto che in quest’area del Paese continuano a dominare i servizi di gestione in economia (in cui gli enti locali si occupano direttamente della gestione del servizio idrico). Il 79% dei Comuni italiani in cui la gestione di almeno uno dei servizi è in economia si trova infatti al Sud. Dove ciò avviene, i dati sono ancora peggiori. Nelle gestioni in economia, infatti, gli investimenti annui si fermano a 8 euro per abitante l’anno, scavando una trincea molto profonda rispetto al resto del Paese e soprattutto al resto d’Europa.
Investimenti infrastrutturali idrici: una necessità non più rinviabile
In assenza di investimenti che possano favorire la captazione, l’immagazzinamento, il trasporto, la distribuzione, la depurazione e il riuso delle acque - conclude Eurispes - si rischia di cronicizzare il problema rendendo la mancanza d’acqua una questione strutturale, come, tra l’altro, sta avvenendo in altre aree del pianeta.
Questo rischio è già evidente al Sud, dove la fatiscenza o la totale assenza delle reti (si pensi ad esempio ai livelli di dispersione idrica nel Mezzogiorno o alla mancanza di allacci al sistema fognario in parte della Sicilia), sommate all’apparente incapacità degli Enti gestori di effettuare gli investimenti necessari, creano condizioni di stress idrico, spesso aggravate dalla mancanza di disponibilità della risorsa.
Consulta il Rapporto di Eurispes "Un sistema che fa acqua. Lo stato delle acque in Italia, 2023"
Foto di Luis Quintero da Pexels
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