Digital Europe: da Bruxelles a Roma, idee per non restare indietro
La trasformazione digitale porta con sé sfide e opportunità. Per coglierle, occorrono investimenti infrastrutturali e sulle competenze. Digital Europe avrà successo se riuscirà a coinvolgere le imprese, anche le più piccole, sintonizzando le loro esigenze con quelle degli altri attori dell’ecosistema produttivo e dell’innovazione.
> Digital Europe - finanziamenti per la trasformazione digitale
Ma Digital Europe, il programma europeo che dal 2021 sarà interamente dedicato alla trasformazione digitale, non sarà l’unico strumento nelle mani della Commissione europea per sostenere l’innovazione. Cogliere le sinergie con gli altri programmi può fare la differenza, permettendo all’Europa di non restare indietro e tenere testa ai grandi competitor globali.
Sono questi i temi al centro dell’evento Digital Europe 2021-2027, organizzato da Confcommercio, Ecosistema Digitale per l’Innovazione (EDI) e FASI - Finanza Agevolazioni Strategie Investimenti.
Al centro, il programma da circa 9,2 miliardi di euro con cui Bruxelles intende accrescere e massimizzare i vantaggi della trasformazione digitale per tutti i cittadini, le pubbliche amministrazioni e le imprese UE.
Cinque i pilastri su cui si fonda Digital Europe: Calcolo ad alte prestazioni; Intelligenza artificiale; Cybersicurezza e fiducia; Competenze digitali avanzate; Implementazione, impiego ottimale della capacità digitale e interoperabilità.
Italia in ritardo, occorre cambiare approccio
Che il nostro Paese sia in ritardo sul fronte della trasformazione digitale è noto. Lo dimostrano i dati 2019 del Digital Economy and Society Index (DESI), che piazzano l'Italia al 24esimo posto in Europa per livello di digitalizzazione.
“Di fondo c’è un problema culturale, legato a un’insufficiente consapevolezza della sfida” che abbiamo di fronte, sottolinea in apertura della giornata Luigi Taranto, segretario generale di Confcommercio.
“La trasformazione digitale cambia profondamente il modo di fare impresa: cambiano prodotti, processi, servizi, modelli di business. E si tratta di un cambiamento trasversale, profondo” che “come ogni processo rivoluzionario, si confronta con sfide e opportunità rilevanti, non solo per le compagnie digitali ma anche per le imprese tradizionali”.
Si impone quindi un cambiamento di approccio: “Le imprese, soprattutto le PMI, hanno un problema evidente di alfabetizzazione digitale e di reclutamento di competenze. L’insieme di questi fattori fa sì che il digitale sia avvertito come un costo anziché come un investimento”, aggiunge Taranto, citando l'ultimo report dell'Associazione Nazionale delle Imprese ICT e Digitali (Assintel), secondo cui nel 2019 la spesa ICT delle aziende italiane arriverà a 30,5 miliardi di euro, di cui il 38% realizzato da micro e piccole imprese. “Digital Europe si inserisce in questo quadro e speriamo possa contribuire al recupero del ritardo europeo rispetto ai grandi competitor globali”.
Pone l’accento sul ritardo italiano anche Luca Carabetta (M5S), Vice Presidente della Commissione Attività Produttive della Camera dei Deputati: “Siamo molto indietro sull’innovazione tecnologica, sia sul lato della domanda che su quello dell’offerta”.
La buona notizia è che sulle tematiche legate all’innovazione, a livello politico, “c’è trasversalità”. Gli ultimi due Governi hanno messo in piedi un piano i cui effetti si sentiranno nel medio-lungo periodo, aggiunge Carabetta e “se anche dovessimo investire 10 miliardi nelle competenze, i risultati inizierebbero a vedersi nel medio periodo”.
Sul breve periodo, “dopo 10 mesi dalla Manovra 2019 è partito il voucher Innovation Manager, il voucher per l’acquisto di prestazioni consulenziali finalizzate a sostenere i processi di trasformazione tecnologica e digitale delle imprese. E guardando alla Manovra 2020, malgrado le dotazioni di partenza per l’innovazione siano “estremamente limitate”, Carabetta punta a trovare risorse per la digitalizzazione della Pubblica amministrazione. Del resto, il Governo ha dedicato al tema un nuovo ministero.
“Lo scorso anno abbiamo fatto partire il Fondo nazionale innovazione in fretta e furia, ma da aprile c’è stato un rallentamento: se a breve dovesse partire, sarà la chiave per sbloccare il mercato dell’innovazione in Italia”.
Impresa 4.0 e 5G: l’Italia che funziona
Più ottimista Andrea Bianchi, direttore dell’area politiche industriali di Confindustria: “Il nostro Paese è in ritardo sul digitale, ma in movimento. Ad oggi il mercato vale circa 70 miliardi di euro, e i tassi di crescita nei prossimi anni ci dicono che si tratta di un mercato dinamico”.
Una mobilitazione ancora insufficiente, ammette, “perché lascia fuori le piccole e medie imprese, che faticano ad entrare nel mercato”. “Abbiamo quindi bisogno di una strategia nazionale per il digitale”, che al centro vede il piano impresa 4.0.
Un piano, per la prima volta, “non solo di incentivazione, ma che agiva su diversi assi d’intervento, a partire dall’investimento sulle competenze”, aggiunge Bianchi, “insistendo sulla riqualificazione dei dipendenti attraverso il credito d’imposta per la formazione 4.0, la formazione degli universitari e un investimento forte sul livello intermedio di formazione (gli Its)”.
> Trasformazione Digitale, una sfida finanziaria e di regole
A restituire una fotografia più rosea della situazione nazionale è Antonio Martusciello, commissario dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni (AGCOM): “L’Italia, seppur non brilla in termini di digitalizzazione dell'economia e della società, si distingue per una performance molto positiva nel campo delle tecnologie di rete di quinta generazione (5G)”.
Le sperimentazioni pre-commerciali in corso e l’avvenuta assegnazione del 94% dello spettro armonizzato per servizi mobili a banda larga, aggiunge, “ci consentono di raggiungere il secondo posto in Europa, alle spalle della Finlandia. Un risultato importante in quanto il 5G è stato identificato dalla Commissione europea come una priorità e una risorsa chiave che consentirà all’Europa di competere nel mercato globale. Del resto – secondo stime dell’ABI Research - le entrate originate da questa tecnologia, a livello mondiale, dovrebbero raggiungere l’equivalente di 225 miliardi di euro nel 2025”.
E in Europa? Non solo Digital Europe: c’è un’intera costellazione di fondi UE per il digitale
Per sostenere l’innovazione, oltre a Digital Europe, Bruxelles mette a disposizione una fetta consistente di risorse nell’ambito di altri programmi. O per dirla con le parole di Carlo Corazza, Capo dell’Ufficio del Parlamento europeo in Italia, “un’intera costellazione di programmi contribuiranno all’innovazione digitale nella prossima programmazione: Horizon Europe, InvestEU (investimenti in banda larga, 5G), Connecting Europe Facility, i fondi strutturali e la Politica agricola comune”.
> I fondi europei per la trasformazione digitale
Il punto, adesso, sono i tempi: sul prossimo bilancio europeo le istituzioni hanno trovato un accordo preventivo a febbraio, “ma finchè non c’è un accordo finale su tutto il budget, non potrà essere operativo”. Il “negoziato è molto difficile”, aggiunge Corazza. Un passo avanti dovrebbe esserci a dicembre quando probabilmente arriverà la presa di posizione del Consiglio. “L’auspicio del Parlamento europeo è che il bilancio venga approvato al più tardi entro ottobre del prossimo anno”.
Digital Innovation Hub e Competence Center: il mezzo per digitalizzare le imprese
“Programmi come Digital Europe sono importanti, ma è necessario raggiungere le imprese che finora non sono state coinvolte nella Digital Transformation”, sottolinea Luciano Gaiotti, direttore centrale servizi per il sistema di Confcommercio.
I Digital Innovation Hub svolgono un ruolo decisivo in tal senso. “Confcommercio sta investendo molto in EDI, progetto che nasce ancor prima di Digital Europe e che crediamo vada inserito nella rete Digital Innovation Hub europei”.
Ma “è necessario tenere conto delle caratteristiche dei paesi in cui gli Innovation Hub operano: nel Nord Europa sono molto collegati alle università, in Italia sono molto più legati al territorio per avvicinarli all’impresa, e non sono espressione di competenze verticali ma trasversali”. E conclude: “Digital Europe avrà successo se riuscirà a sintonizzarsi sulle esigenze delle imprese più piccole, e più in generale di quei soggetti che non hanno sfruttato finora le possibilità offerte dalla trasformazione digitale”.
Appello condiviso da Bianchi che all’UE chiede che “venga riconosciuto e valorizzato il modello nazionale” dei Digital Innovation Hub e dei Competence Center all’interno di Digital Europe. Una doppia struttura che, in Italia, permette di raggiungere un sistema produttivo molto frammentato sul territorio.
Le parole chiave della trasformazione digitale per il settore bancario
“Non faremmo un buon servizio ai fondi messi a disposizione se non cercassimo di usarli come innesco per scatenare un effetto valanga”, esordisce Silvia Attanasio, responsabile dell’Ufficio innovazione di ABI.
Che indica 4 parole chiave per attivare un effetto leva:
- Ecosistema: blockchain e tecnologie dlt vanno proprio in questa direzione. ABI sta avviando la migrazione verso una tecnologia dlt che coinvolge tutte le banche, di ogni dimensione;
- Infrastrutture abilitanti, ingredienti chiave per la digitalizzazione: fra queste, l’identità digitale e gli Open Public Data;
- Competenze, ad ogni livello: ci si concentra molto sulle competenze di chi implementa (chi si occupa di cybersecurity e non solo), ma dobbiamo investire anche nei dipendenti che non sono neolaureati;
- Regole.
E l’agricoltura? Se non innova non vive
“Nel giro di 5 anni ci siamo trovati con 300/350 soluzioni innovative che riguardano solo il settore agricolo”, sottolinea Donato Rotundo, direttore dell’area sviluppo sostenibile e innovazione di Confagricoltura. Numeri che dimostrano il grande fermento del settore agricolo, che, aggiunge, “vive e vivrà solo se farà innovazione”.
Ma è “importantissimo coordinare i fondi e avere una strategia chiara: la prossima programmazione sarà determinante, perchè o riusciremo a dare risposte” alla trasformazione in atto “o ci troveremo in seria difficoltà”.
La Pubblica amministrazione non resti indietro
La digitalizzazione non riguarda solo le imprese, ma deve coinvolgere in modo sempre più pervasivo la Pubblica amministrazione. “CDP nel suo piano industriale promuove lo sviluppo e la digitalizzazione della Pubblica amministrazione” attraverso una serie di progetti, sottolinea Luca D’Agnese, responsabile infrastrutture, PA e territorio di Cassa depositi e prestiti.
Tra questi PagoPA, un sistema di pagamenti elettronici realizzato per rendere più semplice, sicuro e trasparente qualsiasi pagamento verso la Pubblica amministrazione.
Guardando al futuro, e in particolare alla prossima programmazione delle risorse europee, D’Agnese illustra un progetto cui CDP sta lavorando e il cui obiettivo è affrontare una delle carenze strutturali del Paese: il ritardo accumulato sui fondi europei. Si tratta di “un servizio di advisory agli Enti pubblici per aiutarli a raccogliere una serie di iniziative e idee che arrivano dal territorio e presentarli alle call for proposal”.