Guerra commerciale USA-Cina: Trump e Xi firmano l’armistizio
Dopo 18 mesi di guerra commerciale, ieri Stati Uniti e Cina hanno concordato, se non una pace, comunque qualcosa che le si avvicina molto. La firma della “Fase 1” dell’intesa porterà ad un aumento delle esportazioni USA. Una vittoria certa per Trump, che punta alla rielezione, ma più ombrata per il resto del mondo.
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Ieri alla Casa Bianca Stati Uniti e Cina hanno firmato un’intesa definita, su più fronti, come “storica”.
Dopo l’accordo raggiunto in extremis il 15 dicembre 2019 che aveva scongiurato l’ulteriore aumento dei dazi americani sulle merci cinesi esportate negli States, le due superpotenze hanno firmato ieri la “Fase 1” di un accordo che riconduce su un terreno di gioco più pacifico i rapporti tra Washington e Pechino.
Nel testo dell’accordo sono finiti tutti i principali dossier su i quali, in questi anni, Trump aveva colpito duramente.
Restano fuori Huwaei e le reti 5G che dovrebbero confluire in una successiva “Fase 2”, ma che sarà trattata dal prossimo inquilino della Casa Bianca, dopo le elezioni presidenziali di novembre.
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Cosa prevede la Fase 1 dell’intesa USA-Cina
Export, proprietà intellettuale e trasferimenti forzati di tecnologia, valuta e mercato dei servizi.
Sono questi i principali capitoli del testo dell’accordo firmato ieri da Robert Lighthizer, responsabile del commercio americano, e Liu He, vicepremier cinese, entrambi personaggi molto influenti nelle rispettive amministrazioni.
In cambio di un'apertura di Pechino su tutti questi fronti, gli USA modificheranno “in modo significativo” - si legge nel testo diffuso dal Governo americano - le proprie azioni tariffarie contro la Cina.
Una bella vittoria per Trump, dato che le misure interessano le principali componenti della propria base elettorale: agricoltori, manifattura e società energetiche. Tra queste figurano:
- Agricoltura: Su questo punto i farmers americani hanno molti motivi per festeggiare l’accordo di ieri. La Cina, infatti, ha messo nero su bianco l’impegno ad acquistare nei prossimi due anni 80 miliardi di prodotti agricoli, ittici e agroalimentari americani, rivedendo gli attuali ostacoli (tariffari e non) che fino ad oggi rendevano più complessa l'esportazione di prodotti statunitensi come carni, riso, formaggi e frutta, ma anche additivi per mangimi, alimenti domestici e prodotti della biotecnologia agricola;
- Beni e servizi: Oltre ai prodotti agroalimentari, le esportazioni americane in Cina dovrebbero subire un’espansione significativa anche sul fronte dell’industria manifatturiera. Nel 2020, infatti, le importazioni cinesi di manufatti statunitensi (come macchinari industriali, apparecchiature elettriche, prodotti farmaceutici, aeromobili, veicoli, strumenti ottici e medici, ferro e acciaio, legname e prodotti chimici) dovrebbero aumentare di almeno 120 miliardi di dollari (e di 131,9 miliardi nel 2021). Bene anche il settore dei servizi (finanziari, assicurativi e cloud) che dovrebbero aumentare di almeno 99 miliardi di dollari nel 2020 e 112 miliardi nel 2021;
- Stop alla svalutazione chirurgica dello yen. Anche sul fronte delle politiche macroeconomiche la Cina sembra aver fatto un passo indietro, accettando di bloccare l’arma delle svalutazioni valutarie ad orologeria, finalizzate a rendere più competitive le proprie esportazioni. L’intesa raggiunta su questo punto ha prodotto già i primi effetti. Lunedì, infatti, il Tesoro americano ha cancellato Pechino dalla black list di paesi accusati di manipolare la valuta;
- Industrie petrolifere. Esultano, infine, anche i petrolieri assieme al resto delle industrie energetiche di gas naturale liquefatto e carbone. Per questi prodotti, infatti, le importazioni cinesi dovrebbero ammontare a 30 miliardi di dollari nel 2020 e a 45,5 miliardi nel 2021.
- Proprietà intellettuale e trasferimenti di tecnologia: Altro punto che in questi anni ha tenuto banco sul tavolo dei negoziati, è quello della tutela della proprietà intellettuale e del connesso tema dei trasferimenti forzati di tecnologia, imposti dalla Cina. Se sul primo aspetto le informazioni pubblicate dal Governo americano non entrano ancora nel dettaglio, sul secondo punto, invece, il comunicato afferma che “per la prima volta in qualsiasi accordo commerciale, la Cina ha accettato di porre fine alla sua pratica di forzatura o di pressioni sulle società straniere affinché trasferiscano la loro tecnologia alle società cinesi come condizione per ottenere l'accesso al mercato”. Sempre su questo tema, poi, la Cina ha accettato anche di “astenersi dal dirigere o sostenere investimenti in uscita finalizzati all'acquisizione di tecnologia straniera in base a piani industriali che creano distorsioni”.
Coldiretti mette in guardia sulle ripercussioni per il Made in Italy
L’entità del flusso di scambi commerciali che si generano tra Stati Uniti e Cina fa si che le conseguenze dell’accordo non riguarderanno solo le due superpotenze.
Se per le analisi è ancora presto, un primo alert arriva dalla Coldiretti. L'associazione, infatti, mette in guardia sulle possibili ripercussioni che l’intesa avrà anche per l’Europa, destinata com’è “a modificare in futuro la domanda di materie prime con scenari inediti nel commercio mondiale che vanno attentamente monitorati”, scrive Coldiretti.
Un esempio concreto riguarda la soia, prodotto di cui gli USA sono il primo fornitore per il mercato comunitario. Le enormi quantità di soia americana che adesso saranno acquistate dalla Cina, rischiano di generare conseguenze inaspettate anche per il mercato UE, inclusa l’Italia. Se è vero, infatti, che il nostro Paese è il primo produttore europeo di questo legume - con circa il 50% della soia coltivata in Europa - è anche vero, però, che continuiamo ad esserne deficitari e abbiamo bisogno di importarne parte dall'estero.
Una situazione a cui si va a sommare il braccio di ferro sui dazi tra USA e UE, con Washington che minaccia l’ampliamento della black list di prodotti europei da sottoporre a nuove tariffe, tra cui vino, pasta e olio italiani.
Una stangata che costerebbe alle nostre esportazioni verso il mercato americano circa 2 miliardi di euro, in uno scenario - come quello che si va profilando - in cui l’altro grande mercato mondiale, quello cinese, sarà letteralmente inondato di prodotti a stelle e strisce.
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