Intelligenza artificiale: quale modello di sviluppo per l’Italia?
Mentre il sito del Ministero dell’Ambiente è andato in tilt per qualche minuto durante il click day per il bonus bici, le imprese si confrontano all’AI Forum per definire il modello di sviluppo nazionale sull’intelligenza artificiale. Investire, sperimentare e formare sono le parole d’ordine.
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Organizzato dall’Associazione Italiana per l'Intelligenza Artificiale (AIxIA), l’AI Forum è stato l’occasione per fare il punto su scenari, applicazioni e prospettive dell’IA, una tecnologia che sta rivoluzionando le regole e le dinamiche del mercato italiano e internazionale.
Intelligenza artificiale in Europa: dove stiamo andando?
Lo scorso febbraio, poco prima dello scoppio della pandemia di coronavirus, la Commissione europea ha presentato il suo libro bianco sull’IA insieme alla strategia sui dati, due documenti fondamentali per la crescita dell’UE, ha ricordato Roberto Viola, direttore generale della Dg Connect.
L’IA è uno degli strumenti più importanti per il miglioramento della società e dell’economia, ha dichiarato Viola, e necessita di tre elementi chiave per svilupparsi: un ecosistema di eccellenza, la fiducia di cittadini e imprese, una base di dati da cui partire.
Per quanto riguarda l’ecosistema di eccellenza, il direttore generale della Dg Connect ha ricordato una serie di progetti europei, tra cui il supercomputer Leonardo - uno dei cinque più potenti nel mondo - che nel 2021 inizierà a elaborare dati all’interno del tecnopolo di Bologna.
L’Europa sta anche lavorando allo sviluppo dei gemelli digitali - ossia rappresentazioni virtuali di entità fisiche, viventi o non - come testimonia il progetto Destination Earth (DestinE). L’obiettivo di DestinE – che coinvolge anche l’European Sapce Agency (ESA) - è creare un digital twin della Terra per anticipare e comprendere le attività della natura e dell’uomo, allo scopo di indirizzare al meglio le politiche UE per raggiungere la neutralità climatica entro il 2050.
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Un altro progetto molto ambizioso è la realizzazione di un gemello digitale dell’essere umano, da mettere a disposizione del mondo della scienza e della ricerca, ha spiegato Viola.
Sul fronte della fiducia, invece, la principale finalità è sostenere le imprese, in particolare quelle più piccole, attraverso punti di accumulazione – come i Digital Innovation Hub – dove le aziende possono essere aiutate nel loro percorso di avvicinamento all’IA.
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L’intelligenza artificiale trova numerose applicazioni in diversi comparti, dalla sanità all’edilizia, e l’Italia, con il suo ricco panorama di distretti industriali, rappresenta il posto ideale per lanciare le specializzazioni settoriali. In questo scenario, le risorse del Recovery fund dovranno contribuire alla transizione digitale del sistema industriale italiano, ha evidenziato Viola.
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Giuseppe Borghi, a capo di Φ-Lab dell’ESA, ha poi posto l’accento sull’ultimo elemento chiave per lo sviluppo dell’IA: i dati. In Europa sta crescendo la richiesta di dati e informazioni da parte del mercato, e l’ESA – grazie a programmi di public partnership – investe sulle imprese che vogliono sviluppare l’IA per la raccolta e analisi dei dati, dall’agricoltura ai trasporti.
Intelligenza artificiale in Italia: cosa serve alle imprese?
Sebbene siamo ancora lontani dal creare una mente intelligente, ad oggi grazie all’IA – un termine ombrello che comprende tante tecnologie, come il machine learning – alcune macchine riescono a compiere determinate azioni anche meglio dell’uomo.
Di fronte a questa realtà, ha spiegato Piero Poccianti, presidente di AIxIA, non bisogna avere paura dell’IA, ma di non usarla in modo efficace. Occorre quindi cambiare il modello socio-economico di partenza, mettendo al centro la ricerca con un infrastrutture che siano in grado di trasmettere i risultati raggiunti in laboratorio alle imprese.
Come superare la paura delle aziende? Procedendo per gradi – come quando ci si immerge in una vasca piena d’acqua, questa la similitudine usata da Poccianti - comprendendo il contesto produttivo e facendo esperienza, allo scopo di indirizzare le imprese laddove l’IA possa effettivamente dare un contributo.
In questo percorso, le competenze giocano un ruolo chiave, ha proseguito Nicola Gatti, direttore dell’Osservatorio Artificial Intelligence e docente del Politecnico di Milano, illustrando i dati della ricerca sul mercato dell’IA in Italia.
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Nel nostro paese un forte freno all’avvio dei progetti di IA è la mancanza di competenze, per l’89% delle organizzazioni, seguita dalla reperibilità di queste sul mercato del lavoro (76%) e dai problemi di compliance nella privacy (70%).
Per compensare il gap tra domanda e offerta di laureati in ambito IA - ha evidenziato Ernesto Di Iorio, CEO e presidente di Rete di Imprese SAIHUB, QuestIT - è necessario creare delle vere e proprie reti tra università e imprese. L’obiettivo è formare i giovani – con incentivi e tirocini – ed accompagnarli nel mondo del lavoro, favorendo così il loro inserimento in azienda.
Durante il suo intervento Di Iorio si è soffermato anche sugli Artificial Human, la nuova frontiera dell’IA, che porterà ad una vera e propria interazione tra uomo e macchina. In questo scenario, la macchina non si fermerà ad analizzare il linguaggio umano, ma sarà anche in grado di interpretare gesti, espressioni facciali e tono della voce per instaurare una relazione con l’uomo.
In questa direzione si muove il progetto “Caterina” - nato dalla sinergia tra QuestIT e Comune di Siena - il primo assistente virtuale dedicato al servizio demografico per supportare il cittadino in ogni fase della prestazione.
Altri esempi di applicazioni dell’IA arrivano anche da altri settori, come la finanza e la manifattura, dove i problemi principali – ha sottolineato Alessandro Chiandotto, business analyst & sales manager di Bidpremium - riguardano la gestione di una mole crescente di dati o l’assenza totale di dati.
In ambito finanziario l’IA viene già utilizzata, sia per l’assistenza interna ai dipendenti che per la relazione con i clienti, ha spiegato Romano Stasi, segretario generale di ABI Lab, ricordando che per avere successo nello sviluppo dell’IA dobbiamo imparare ad insegnare alle macchine cosa fare, lavorando al loro fianco. Il travaso di conoscenza uomo-macchina deve essere raffinato, con l’inserimento in azienda di specialisti che siano in grado di addestrare la macchina.
La sfida per il prossimo futuro quindi non è individuare il settore produttivo a cui dare priorità per lo sviluppo dell’IA, bensì costruire delle basi di dati eterogenee e convergenze tecnologiche per consentire a aziende e PA di colloquiare tra loro, hanno ribadito Poccianti e Enrico Bussolati, business unit manager di IBM, Tech Data Italia.
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