Acqua – Italia Sicura, sei miliardi di investimenti bloccati
Circa sei miliardi, tra risorse non spese e parzialmente bloccate. Il sistema dei contributi pubblici agli investimenti nel settore dell’acqua soffre di ritardi preoccupanti
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La denuncia arriva dall’unità di missione Italia sicura di Palazzo Chigi con uno studio appena pubblicato: nonostante la grande disponibilità di denaro e le procedure di infrazione avviate dall’Unione europea, il nostro paese è ancora incredibilmente indietro. Soprattutto a causa dei problemi del Sud, dove si concentra il pezzo principale di questa lentezza. Per questo sta prendendo forma un sistema di assegnazione dei fondi che, in futuro, premierà i Comuni virtuosi a danno degli altri.
I numeri dell'unità di missione
Partiamo dai numeri dell’unità di missione. Nei sistemi di monitoraggio degli investimenti dello Stato risultano finanziati con risorse pubbliche 5.812 interventi per un importo totale di 11,85 miliardi di euro. Si tratta di finanziamenti a valere principalmente sul Fondo di sviluppo e coesione e sui Fondi strutturali europei. I fondi del Ministero dell’Ambiente, invece, non risultano in larga parte dagli archivi centralizzati a cui fa riferimento Palazzo Chigi.
Questi soldi, però, in buona parte non sono stati ancora spesi. Un dato clamoroso, se consideriamo che in alcuni casi si fa riferimento a finanziamenti vecchi di più di dieci anni. E’ accaduto, ad esempio, per la delibera Cipe 60/2012, nata con il Governo Monti per superare le infrazioni europee in materia di depurazione, con una pioggia di finanziamenti al Sud, ma rimasta sostanzialmente inattuata.
Alla luce di questo, secondo quanto spiega l’analisi, “gli interventi avviati e non ancora conclusi risultano 885 per un valore totale finanziato pari a 2,9 miliardi di euro”. A questi vanno aggiunte altre risorse, che hanno avuto un destino ancora peggiore. Gli interventi non avviati neppure, infatti, “risultano 888 e ammontano a un valore totale finanziato pari a 3,2 miliardi di euro”.
Il ritardo del Sud
Il problema riguarda soprattutto il Sud. Nel Mezzogiorno, infatti, risultano non spesi 2,8 miliardi e ci sono 2,1 miliardi di lavori avviati e non conclusi. Qui le difficoltà sono strutturali. A partire dai lavori che dovrebbero aiutarci a superare le procedure di infrazione europee. In Campania, Puglia, Calabria e, soprattutto, Sicilia si concentra il pezzo principale degli investimenti da fare e, allo stesso tempo, la parte più rilevante delle risorse non spese.
A questo il capo dell’unità di missione Mauro Grassi aggiunge la questione dei tempi di realizzazione: “C’è poi da considerare l’analisi dei tempi di attuazione, condotta ovviamente sugli interventi conclusi, che mostra come mediamente siano necessari 5 anni e 6 mesi per realizzare un investimento pubblico nel settore idrico, ai quali si aggiungono altri anni, oltre 3, per le lungaggini burocratiche legate all’iter per il finanziamento, da quando si decide di finanziare l’opera a quando inizia la progettazione”.
Al tema delle risorse pubbliche, poi, si aggiunge quello delle risorse private. Al momento in Italia siamo intorno a 1,5 miliardi di euro allocati all’anno, secondo quanto spiegano da Utilitalia. Per rimetterci in asse con le medie europee, dovremmo arrivare almeno a 5,5 miliardi. Un obiettivo che, visto il regime tariffario attuale, pare lontanissimo da raggiungere.
Le mosse allo studio del Governo
Il modo in cui è possibile sbloccare queste risorse rappresenta un tema di discussione interno al Governo. Da un lato, spiega l’unità di missione, “il recupero delle risorse stanziate e non spese potrebbe pertanto rappresentare una fonte importante di finanziamento per il settore”. La realtà, però, è che molte di queste risorse non possono essere definanziate, perché servono a superare procedure di infrazione europee.
Si sta, allora, studiando un’altra via, che potrebbe essere il centro della nuova programmazione europea. In sostanza, il modello a cui sta lavorando Palazzo Chigi sul fronte dell’acqua è la creazione di un collegamento tra la spesa delle risorse assegnate e la creazione di modelli organizzativi e di gestione conformi alle regole: spesso, infatti, i Comuni che hanno problemi a spendere sono quelli che fanno ancora ricorso alle gestioni in economia, senza passare da forme di accorpamento e aggregazione. I nuovi Patti per il Sud potrebbero andare in questa direzione.
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