Digitale e consulenza – su cosa puntano i professionisti

 

Beneficiari diretti dei fondi Ue grazie alla Legge di stabilità 2016 e allo stesso tempo facilitatori dell'accesso alle risorse da parte delle PMI, i professionisti puntano sempre di più su digitale e consulenza, soprattutto per finanza agevolata e finanziamenti europei

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Crescono gli investimenti dei professionisti in digitalizzazione e attività di consulenza, soprattutto per finanza agevolata e finanziamenti europei. A scattare questa fotografia, l’Osservatorio Professionisti & Innovazione digitale della School of Management del Politecnico di Milano, che ha condotto un'indagine tra 150 mila studi di professionisti dell’area giuridica: avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro.

Se la crescita degli investimenti in digitale non ha bisogno di spiegazioni, il ruolo sempre più incisivo della consulenza applicata alla finanza agevolata e ai finanziamenti europei è da imputare anche al cambio di rotta dato dalla Legge di Stabilità 2016 che, in linea con la normativa Ue, ha equiparato i professionisti alle imprese nell'accesso ai fondi europei.

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“Potete rivestire un ruolo determinante, perché siete l'anello di congiunzione fra le PMI, poco inclini a spostare il proprio raggio d'azione in una mentalità europea, e voi stessi che, come professionisti qualificati, avete la chance di trovare nuovi mercati, aiutando le aziende di minori dimensioni a ottenere finanziamenti e agevolazioni”, dichiara Giorgio De Bin, rappresentante della società di consulenza Coopération Bancaire pour l'Europe – Geie, intervenendo al dibattito promosso dalla Cassa nazionale di previdenza dei dottori commercialisti (Cnpadc), a Napoli nel corso della Giornata nazionale della previdenza.

Alla luce del ruolo determinante dei professionisti, diamo un'occhiata ai risultati dell'indagine condotta dall'Osservatorio Professionisti & Innovazione digitale.

Cresce il digitale

La ricerca suddivide innanzitutto gli studi professionali italiani in 5 cluster, in base ai comportamenti e alla sensibilità dimostrati nei confronti delle tecnologie.

Il 14% sono “avanguardie strutturate”, quelli che per primi hanno creduto nella capacità delle tecnologie di creare valore, con un portafoglio di oltre 60 clienti, più di 60mila euro di fatturato per addetto, servizi di consulenza superiori alla media, oltre il 28% di budget ICT dedicato a progetti innovativi e interesse alla formazione sull'Information technology.

L'11% degli studi rientra nella categoria degli “innovatori caotici”, quelli che dimostrano sì interesse e sensibilità verso le tecnologie, ma che sono partiti in ritardo rispetto ai colleghi, per cui le scelte sono effettuate più in chiave tattica che strategica.

Il 17% sono “benestanti ricettivi”: studi radicati nei territori con buoni indicatori di performance e dimensionali, che non hanno investito in tecnologia, ma manifestano interesse per la digitalizzazione.

Viene poi il 10% di “efficienti miopi”, studi con buoni indicatori di efficienza, ma redditività in calo, in cui il contesto favorevole non stimola interesse verso le tecnologie e che rischiano di diventare inadeguati alla futura domanda di servizi.

Infine, il 48% sono “periferici seduti”, il cluster più numeroso, a testimonianza di un grado di alfabetizzazione digitale limitato per un’ampia fetta professionale: sono studi senza buoni indicatori economico-finanziari né reazione al cambiamento, che devono migliorare sia il modello organizzativo, sia quello di business per evitare il rischio emarginazione.

Superata la distinzione per cluster, l'indagine si sofferma sull'inclinazione al cambiamento: uno studio su tre si dice aperto al cambiamento del proprio ruolo grazie all'uso intensivo delle tecnologie digitali per il business. Vale a dire, amplia l'attività di consulenza e avvia nuovi servizi maggiormente orientati al mercato, arricchisce di nuove competenze il suo profilo, utilizza in modo intensivo le tecnologie informatiche per migliorare efficienza e produttività.

E se nel 2015 è cresciuta la digitalizzazione tra avvocati, commercialisti e consulenti del lavoro, guardando al futuro, oltre il 40% dei professionisti italiani dichiara di avere intenzione di realizzare investimenti in digitalizzazione per lo sviluppo dello studio.

In generale, le nuove tecnologie sono viste sempre più come un alleato nella ricerca dell’efficienza interna e dell’efficacia verso il mercato di riferimento: complessivamente gli oltre 150mila studi professionali hanno speso più di 1,1 miliardi di euro per l'ICT, in media 9mila euro ciascuno, quasi il 50% in più rispetto alle previsioni dichiarate l'anno precedente.

Inoltre, i professionisti si dimostrano interessati a nuove aree di competenza come la comunicazione, le soft skill, o i social network, segno di una maggiore consapevolezza sulla necessità di aggiornare il profilo personale. Il 44% degli studi professionali italiani utilizza i social network per l'attività lavorativa, in maggioranza per sviluppare nuove relazioni o acquisire informazioni su temi di interesse, poi per promuovere i servizi dello studio e per condividere opinioni con altri.

Il ruolo della consulenza

Nel 2015, la consulenza pesa in media il 27% del totale dell'attività degli studi, ma è destinata ad aumentare di rilevanza.

Pur rimanendo prevalente l’attività tradizionale, infatti, nell'ultimo anno la consulenza è cresciuta per un numero di studi doppio rispetto a quelli che hanno incrementato l’attività tradizionale (29% vs 14%). Anche la consulenza online – che interessa il 51% dei professionisti - contribuirà sempre più a a fornire un contatto con aziende altrimenti difficili da raggiungere.

Quanto alle aree di consulenza prevalenti, si piazzano ai primi 3 posti finanza agevolata e finanziamenti europei (36%), supporto allo sviluppo di nuovi mercati (35%) e assistenza alle startup (34%).

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