Startup – due su tre vivono di risorse proprie
Il 73,2% delle startup ha fatto principalmente ricorso alle risorse dei soci al momento della fondazione. Solo l’8,2% ha potuto contare sul supporto di venture capital e business angels. I risultati della Startup Survey.
> Finanziamenti startup e innovazione
E’ uomo, ha poco più di 40 anni e una preparazione universitaria di tipo ingegneristico o manageriale. Risponde a questo identikit lo startupper italiano fotografato da Startup Survey, la prima indagine sulle neoimprese innovative nazionali realizzata da Ministero dello Sviluppo economico e Istat.
> Startup – mentre Parigi tenta la scalata, l'Italia resta indietro
Due su tre vivono di risorse proprie
Come si finanziano le startup innovative? Da sole, nella maggior parte dei casi: al momento della fondazione il 73,2% delle imprese ha fatto principalmente ricorso alle risorse proprie dei soci fondatori e tale fonte è utilizzata da circa la metà delle startup anche al momento della rilevazione, benché in misura decrescente.
Solo il 10% delle startup che hanno risposto al sondaggio condotto per mettere a punto l’indagine non vi fa fatto ricorso. Le donazioni di amici e parenti sembrano avere un ruolo marginale in entrambe le fasi, più che altro perché essi tendono a proporsi più come soci che come meri finanziatori.
> Startup – sono veramente innovative?
Una quota minoritaria delle imprese è stata avviata mediante finanziamenti pubblici (nel 3% dei casi di origine nazionale, nel 7,7% di fonte regionale o locale), soprattutto nelle regioni meridionali, ma il ricorso alle risorse pubbliche diventa più significativo per le imprese più mature, soprattutto se impegnate in attività di ricerca e sviluppo.
Latitano venture capital e business angels
Solo l’8,2% delle startup innovative ha ricevuto in fase di costituzione finanziamenti in equity da società di venture capital, business angel o altre imprese, percentuale che sale leggermente al momento della rilevazione (11,2%).
Il 7,2% delle startup opera con risorse provenienti da investitori esterni: si tratta in gran parte di imprese con fatturato alto e già presenti da qualche anno sul mercato, a conferma della preferenza dei fondi di venture capital per questa tipologia di startup.
La quasi totalità delle imprese non ha richiesto credito bancario all’avvio, ma l’accesso a tale strumento di finanziamento aumenta visibilmente con la maturazione dell’impresa in termini anagrafici, di forza lavoro impiegata e, ancora di più, di fatturato (il 49,7% delle startup con produzione superiore a 500mila euro ha ricevuto prestiti bancari, contro il 21% di quelle che si attestano sotto i 100mila euro).
Finanziamento a debito e in equity: cosa preferiscono le startup?
Il questionario ha voluto mettere alla prova la tesi, ricorrente nel dibattito mediatico e nella letteratura scientifica, della dicotomia tra finanziamento a debito e in equity. La survey sembra in realtà smentire la presunta contrapposizione nelle preferenze verso l’una e l’altra tipologia: ben il 65,7% delle imprese rispondenti, infatti, dichiara che il finanziamento ottimale di cui necessitano è un mix tra equity e debito; solo un quarto vorrebbe finanziarsi esclusivamente tramite equity e meno del 10% solo a debito.
Le tipologie di investitori preferite sono i fondi di venture capital (42,9%) e le aziende (42,8%), mentre solo un sesto delle startup rispondenti raccoglierebbe finanziamenti tramite l’equity crowdfunding.
E malgrado un interesse dichiarato verso il finanziamento in equity, la maggior parte delle startup (68,4%), dopo la fondazione, non ha cercato nuovi finanziamenti da fondi di venture capital, business angel o tramite l’equity crowdfunding. Tale tipologia di finanziamento è decisamente più diffusa (53,8% delle imprese) tra le startup che hanno beneficiato dei servizi degli incubatori certificati di startup innovative.
Quasi un sesto degli startupper, inoltre, dichiara di non avere interesse o fiducia nel mercato del venture capital e un altro sesto, soprattutto in imprese più mature, è restio ad aprire la compagine sociale a nuovi soci, temendo una riduzione dell’autonomia decisionale.
Infine, una quota non trascurabile di startup (12%) ha rifiutato delle offerte di investimento: nel 24,8% dei casi perché la valutazione delle quote era ritenuta troppo bassa, nel 21,9% a causa di clausole contrattuali ritenute penalizzanti per i soci già presenti, nei restanti casi perché la quota richiesta di partecipazione nell’azienda (17,8%) o il ruolo gestionale richiesto (12,8%) sono stati ritenuti eccessivi.
Identikit dello startupper italiano
Ha quarant’anni circa, è un uomo con un livello educativo elevato, conosce l’inglese ed è ben radicato nel territorio.
Per essere precisi, i 4.363 soci delle imprese rispondenti all’indagine sono nell’82% dei casi uomini, con un’età media di 43 anni.
Hanno conseguito un titolo di studio pari o superiore alla laurea triennale nel 72,8% dei casi, per lo più in materie tecnico-ingegneristiche ed economico-manageriali, con una concentrazione molto più alta di soci con master e dottorato tra le startup che presentano il codice Ateco Ricerca e Sviluppo (R&S).
La quasi totalità dei soci (96%) dichiara di conoscere almeno un’altra lingua oltre l’italiano (l’inglese nella maggior parte dei casi, seguito dal francese e dallo spagnolo), mentre la metà ha fatto esperienze di studio o lavoro in altri Paesi.
Il radicamento territoriale dei soci appare molto elevato: per l’83% la regione sede della startup è la medesima nella quale sono state condotte le principali esperienze formative o lavorative.
In proporzione, troviamo più soci donna nelle startup del Centro o del Mezzogiorno, soprattutto in quelle che si occupano di ricerca e sviluppo e consulenza gestionale.
Prevalgono invece gli uomini nei settori software e macchinari. Gli under 35 sono relativamente più concentrati nei settori dell’elaborazione dati e del design.
Pochi brevetti
Le startup spendono in ricerca e sviluppo in media il 47% dei costi totali annui. Gran parte delle imprese (il 74%) ha realizzato innovazioni di prodotto o servizio, mentre le innovazioni di processo, realizzate dal 37,1% delle startup, sono più diffuse tra le classi di fatturato più alte.
Nella maggioranza dei casi (65%) si tratta di forme di innovazione incrementale, ossia migliorativa di un prodotto o di un processo già esistente; il 48,5% delle startup dichiara invece di aver introdotto prodotti del tutto nuovi.
In ogni caso le startup italiane fanno poco per proteggere le proprie innovazioni: il 58% non adotta nessun meccanismo formale di tutela della proprietà intellettuale (ad esempio, i brevetti) e circa un quarto non persegue nemmeno strategie informali. Gli strumenti informali sono più diffusi di quelli formali: il 46%,8 si protegge col segreto industriale.
Accesso al credito, incentivi e meno burocrazia: cosa chiedono le startup
“Come a tuo avviso il legislatore potrebbe potenziare il quadro normativo in cui operano le startup innovative? Su quali aspetti della vita d'impresa dovrebbe intervenire?”. A questa domanda gli startupper hanno risposto con suggerimenti eterogenei, ma riconducibili ad alcune categorie d’intervento: le più rappresentate riguardano l’accesso al credito bancario (21,4% dei rispondenti), imposte e incentivi fiscali (24,8%), e proposte in merito all’alleggerimento di adempimenti e altri oneri burocratici (27,9%).
In particolare, tra le proposte avanzate figurano l’introduzione di esenzioni temporanee da imposte e contributi previdenziali nei primi anni di attività, e la richiesta di attivare forme di finanziamento a fondo perduto, o comunque di limitare il ricorso a bandi cosiddetti “cash-negative” – ossia quelli in cui l’erogazione del finanziamento arriva sotto forma di rimborso di spese già sostenute, la cui logica dunque presume che le imprese detengano già una qualche disponibilità finanziaria per anticipare i costi d’investimento.
> Startup Survey
o