Nel 2020 le imprese investiranno su Big Data e Cybersecurity
Non si arresta il trend di crescita degli investimenti digitali, tra open innovation e collaborazioni con le startup. A fare da traino sono le grandi imprese, i cui radar sono puntati soprattutto su Big Data e Cybersecurity, mentre le PMI restano ancora indietro.
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Sono alcuni risultati della ricerca degli Osservatori Digital Transformation Academy e Startup Intelligence della School of Management del Politecnico di Milano, in collaborazione con PoliHub.
Il budget ICT 2020
Nelle stime per il 2020 le risorse destinate agli investimenti digitali aumentano nel 45% delle grandi imprese e solo nel 23% delle PMI, con un tasso di crescita fra il 2,8% e il 2,9% (più elevato del +2,6% del 2018).
Le priorità di spesa ICT per le grandi aziende italiane sono in particolare Big Data Analytics (evidenziato dal 42%), Cybersecurity (36%), sistemi ERP (29%) e CRM (29%).
Seguono poi Data Center, Mobile Business, Cloud, eCommerce, Industria 4.0, Intelligenza Artificiale e Machine Learning.
Ancora marginale la Blockchain (3%) e in calo lo Smart Working (10%), ormai diffuso.
Le PMI si concentrano invece sui sistemi ERP (37%), CRM (28%), Mobile Business (24%), mentre Intelligenza Artificiale e Machine Learning sono in fondo alle priorità di spesa.
Le sfide da affrontare
Le principali sfide organizzative percepite dalle aziende per gestire l'innovazione digitale sono la ricerca-verifica-sviluppo di competenze digitali, insieme all'introduzione di nuove metodologie di lavoro.
Sfide che le aziende cercano di affrontare anche con nuovi modelli organizzativi: più di un'impresa su tre prevede team dedicati a ogni specifico progetto di innovazione digitale (36%), nel 9% dei casi ci sono "comitati interfunzionali" e un terzo delle imprese (33%) ha inserito un singolo ruolo dedicato o una Direzione innovazione.
La capacità di gestire l'innovazione è strettamente legata alla diffusione di un'attitudine imprenditoriale. Quasi sette grandi imprese su dieci si stanno attivando con stili di leadership indirizzati al change management da parte dei manager (43%), formazione (40%), percorsi di apprendimento per stimolare l'innovatività dei dipendenti (30%), contest e hackathon interni (26%) e attività con startup (10%).
Il ruolo dell'Innovation Manager
Con l’aumento degli investimenti nel digitale entra in gioco l'Innovation Manager, profilo professionale al centro dell'attenzione anche grazie ai provvedimenti adottati dal Ministero dello Sviluppo economico, che oltre a definire le caratteristiche di questa nuova figura professionale ha previsto un voucher ad hoc per le aziende che assumono l’Innovation Manager.
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Sta progressivamente entrando nelle grandi imprese, che in un caso su tre hanno già inserito un Innovation Manager o una Direzione innovazione, ma nel 76% dei casi è presente da tre anni o meno, segno che per la maggior parte delle imprese si tratta di un profilo ancora nuovo e da scoprire. Soltanto il 37% delle grandi aziende e il 32% delle PMI conoscono le misure contenute nel decreto del MiSE e appena l'11% delle PMI ha intenzione di approfittarne (il 2% lo sta valutando). La maggioranza delle PMI non ha in programma di usufruire delle opportunità offerte dal MISE.
Secondo l'identikit tracciato dai responsabili innovazione, le mansioni principali dell'Innovation manager sono valutare e selezionare nuove opportunità di innovazione di potenziali partner come startup e centri di ricerca, gestire il portafoglio dei progetti di innovazione e il relativo budget, favorire il cambiamento culturale, introdurre nuovi modelli organizzativi.
Le nuove direzioni dell'Open Innovation
L'Open Innovation è ormai una realtà nel 73% delle grandi imprese e nel 28% delle PMI. Le principali fonti di innovazione degli ultimi tre anni sono ancora abbastanza tradizionali: i top manager (43%), le funzioni aziendali (39%), i fornitori di soluzioni ICT (39%) e le società di consulenza (30%), mentre è ancora limitato l'utilizzo di unità di ricerca e sviluppo (20%), startup (14%), centri di ricerca (19%) e aziende non concorrenti (4%).
Se si analizza però la tendenza del prossimo triennio, alcune fonti tradizionali si ridurranno (top management, società di consulenza, fornitori di soluzioni ICT), mentre ci si rivolgerà di più ai nuovi interlocutori, come le unità ricerca e sviluppo (+15%), università e centri di ricerca (+32%), startup (+83%) e aziende non concorrenti (+106%).
Oltre il 70% delle grandi imprese adotta iniziative di Open Innovation incorporando stimoli esterni di innovazione all'interno dei processi aziendali (la cosiddetta Inbound Open Innovation), in particolare la collaborazione con università e centri di ricerca (64%), startup intelligence (49%) e ricerca di collaborazioni con aziende consolidate (39%).
Un'impresa su tre poi organizza Call4Ideas, Call4Startup e contest (32%), il 27% promuove Hackathon, Datathon, Appathon, il 25% si concentra su fusioni e acquisizioni, mentre sono meno diffusi i Corporate Incubator e Accelerator (18%), i Corporate Venture Capital (11%) e il Crowdsourcing (9%).
Meno diffuse, ma in crescita rispetto allo scorso anno le iniziative per esportare stimoli di innovazione interna (Outbound Open Innovation), adottate dal 25% del campione, soprattutto sviluppo di modelli di business a piattaforma, joint venture con altre realtà, licensing di prodotti.
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Il ruolo delle startup
Oltre sei grandi aziende su dieci vedono nelle startup un interlocutore per lo sviluppo di innovazione digitale. Il 35% già collabora con nuove imprese innovative, il 27% ha intenzione di farlo in futuro, mentre il 34% non manifesta interesse per il tema e il 4% ha collaborato in passato.
Nella maggior parte dei casi le grandi imprese si servono di startup come fornitori spot (51%), ma una buona parte le usa come unità di ricerca e sviluppo (37%) e come fornitore di lungo periodo (30%).
La startup può essere anche un partner commerciale, parte di un programma di incubazione, partner per la co-creazione di modelli di business, acquisita o partecipata in Equity. I principali benefici sono la possibilità di accedere a nuove tecnologie e conoscenze di frontiera, la possibilità di testare l'innovazione con un iniziale progetto pilota, con tempi e budget definiti e quindi rischi ridotti e l'opportunità di arricchire il proprio sistema di offerta e aprirsi a nuovi mercati.
Le PMI sembrano meno pronte a collaborare con le nuove imprese innovative: l'85% non è interessato, l'11% sta programmando di farlo in futuro, solo il 4% ha già avviato collaborazioni. Per le PMI la startup è soprattutto un partner commerciale (20%) e un fornitore spot (14%) o di lungo periodo (12%).
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