Cosa non funziona negli incentivi alle auto elettriche? Risponde Francesco Naso, MOTUS-E
A luglio calano le immatricolazioni delle auto elettriche. Una frenata dovuta a diversi fattori, non ultimo un sistema di incentivi inadeguato, che finora ha favorito le auto che non avevano bisogno di bonus per essere vendute. Francesco Naso, segretario generale di MOTUS-E, associazione che raggruppa tutti gli stakeholders della mobilità elettrica, ci spiega perché gli incentivi non stanno funzionando e di cosa avrebbe bisogno l’auto elettrica per accelerare in Italia.
Quali bonus e incentivi ci sono per acquistare l’auto elettrica?
Partiamo dai dati pubblicati nei giorni scorsi da MOTUS-E nell’editoriale mensile dedicato alle immatricolazioni: a luglio 2022 le immatricolazioni di auto elettriche e delle ibride plug-in hanno subito una frenata, facendo segnare un calo del 24,15% rispetto allo stesso mese del 2021 (8.650 unità a luglio di quest’anni contro le 11.431 di luglio 2021). Nel dettaglio, le auto elettriche pure registrano un calo delle vendite che sfiora il 30% (29,30 punti percentuali, per un totale di 3.605 unità immatricolate), mentre le vendite delle ibride plug-in segnano una flessione di poco superiore al 20% (-20,01%, con un totale di 5.065 unità immatricolate nel mese). La quota di mercato delle auto alla spina si ferma al 7,88%.
Dati che non confortano e dovuti a diverse cause, come spiega l’ing. Francesco Naso, segretario generale di MOTUS-E. Non ultima l’inadeguatezza degli incentivi messi a disposizione dal Governo.
Da cosa dipende il calo delle immatricolazioni delle auto elettriche a luglio?
Il problema del mese di luglio è il risultato dell’effetto congiunto di due situazioni. Da un lato le immatricolazioni fino al 30 giugno 2022 sono figlie degli incentivi 2021, che imponevano di immatricolare entro il 30 giugno di quest’anno. Quindi quelle auto che sono riuscite a produrre i costruttori sono state immatricolate grazie agli incentivi precedenti.
Poi con la crisi Ucraina si sono acuiti i problemi di produzione, quindi c’è un numero più limitato di auto che prevediamo si possa risolvere anche in Italia verso l’autunno. Quindi luglio è il primo mese in cui non c’era più questa scadenza cogente legata agli incentivi 2021. Quindi abbiamo assistito a un calo che si è realizzato innanzitutto per questo motivo.
Il secondo tema da sollevare è che gli incentivi in Italia sono partiti piuttosto tardi, subito dopo metà maggio. A fronte di una strozzatura dell’offerta di produzione, le case auto hanno pianificato in tutti i Paesi in cui già c’erano gli incentivi. Quindi Francia, Germania, Spagna, Olanda avevano già chiarito verso il mercato quali fossero gli incentivi e la loro la struttura nei successivi tre anni. Quindi le case auto, che di solito fanno l’allocazione della produzione in Europa a ottobre dell’anno prima, ovunque sapevano come muoversi tranne in Italia.
Ciò ha portato le case auto a non riuscire a fare una pianificazione efficace in Italia. Questo dato emerge sia dalle immatricolazioni sia dal tiraggio limitato degli incentivi.
Tra le cause della frenata MOTUS-E ha indicato anche l’inadeguatezza del sistema degli incentivi. Cosa c’è che non va in tale sistema? E come dovrebbero essere strutturati gli incentivi alla mobilità elettrica per funzionare davvero?
Il governo ci ha detto tutti i giorni che le risorse 2021 sono finite troppo velocemente e che quindi dovevano assolutamente limitare la platea dei beneficiari degli incentivi per non spendere le risorse troppo velocemente. Ora che le risorse si stanno spendendo gradualmente, si lamentano dell’eccessiva gradualità del tiraggio.
Ora il ministro Giorgetti dichiara a Quattro Ruote che vanno rivisti perché c’è poco tiraggio. Ma prima che gli incentivi abbiano efficacia devono passare dei mesi, queste mi sembrano dichiarazioni strumentali a dimostrare che gli incentivi alla mobilità elettrica non funzionano, ed è deprecabile perché ciò crea ulteriore incertezza nei consumatori.
Ma al di là di questo, è utile spiegare come funzionano gli incentivi, destinati a tre fasce di categoria di grammi di Co2 al chilometro: la fascia di emissioni 0-20 g/km, quindi le elettriche o le auto a idrogeno; la fascia 21-60 g/km, le ibride plug-in; poi la fascia 61-135 g/km, quindi le ibride senza spina, le auto a metano e le piccole diesel.
Per conoscere il bonus auto 2022 nel dettaglio
I fondi della categoria 61-135 g/km, come ampliamente previsto da noi, sono finiti in 10 giorni.
Definire un successo, com’è stato fatto dal Ministero dello Sviluppo Economico, un incentivo che finisce in 10 giorni dimostra che qualcosa non va. Questa fascia nei primi mesi 2022, in assenza di incentivi fa più del 70% del mercato. Quindi il legislatore ha messo 170 milioni di euro su auto che letteralmente si sarebbero vendute lo stesso.
Inoltre, non abbiamo rottamato chissà quanti veicoli in più. Il Centro studi Promotor lo dice chiaramente: si arriverà forse a 1 milione e mezzo del totale immatricolato, ed è un risultato negativo.
Ma torniamo alla fascia 0-20 g/km, quindi agli incentivi alle auto elettriche e quelle a idrogeno.
Dagli incentivi sono escluse le auto aziendali, che da sole fanno una buona fetta del mercato, soprattutto dell’elettrico per tre motivi: il più delle volte si conoscono già i percorsi, si ricaricano più facilmente perché generalmente si ricaricano in azienda e in terzo luogo perché se ne trae maggiore vantaggio operativo dato che girano parecchi chilometri e si può fare un’analisi di costo a vita intera che travalica il costo del noleggio. Quindi le auto aziendali sono un ottimo target di elettrificazione e ovviamente non sono incluse negli incentivi.
Anche il noleggio privato andrebbe incluso negli incentivi. Rispetto al noleggio di auto endotermiche, che si aggira intorno al 7-8% del totale del noleggio privato, per le elettriche il noleggio privato rappresentava circa il 15-20% delle scelte di noleggio. Il perché è chiaro: sono un privato, mi voglio affacciare a una nuova tecnologia prima di acquistare e scelgo il noleggio. In generale è plausibile che il noleggio si rafforzi sempre di più tra i privati perché sempre meno si vogliono accollare il costo di acquisto di un bene e quindi optano per il noleggio.
Quindi concentrare unicamente gli incentivi sull’acquisto è miope come approccio perché né sta accompagnando la nuova tecnologia né segue un trend.
Un altro problema è il tetto di acquisto dei mezzi abbastanza fantasioso: sulla fascia 0-20 g/km è 35.000 euro; sulla fascia 21-60 g/km, le ibride plug-in, che in teorie a livello di sviluppo di prodotto sono meno pesanti, è 45.000 euro. Infine, sulla fascia 61-135 g/km, che sono un prodotto consolidato sul mercato, il tetto di costo è identico alle elettriche, di 35.000 euro. Ci devono spiegare il ragionamento.
E’ il tetto di costo più basso in Europa. E non è un caso: le auto elettriche ancora costano di più, gli altri paesi hanno deciso di mantenere un tetto di costo più alto e programmano di abbassarlo progressivamente. In questo modo si riescono a intercettare auto, sopra i 35.000 euro, che hanno un’autonomia maggiore o ricaricano ad alta potenza.
Parallelamente lo Stato ha messo a disposizione 740 milioni di euro per installare infrastrutture di ricarica ad alta potenza.
Siamo davanti a un Giano bifronte che si comporta in maniera completamente differente tra le due parti, perché da un lato non vengono incentivate auto che ricaricano ad alta potenza e dall’altro viene incentivata l’installazione di infrastrutture ad alta potenza. Sarebbe bene si parlassero le due facce e si coordinassero sulle intenzioni.
Con questi vincoli ci giochiamo il 70% del mercato delle auto elettriche.
Quindi sì, gli incentivi vanno rivisti mettendo le flotte aziendali e il noleggio all’interno degli incentivi o alzando il cap, come funziona nel resto d’Europa.
L’aspetto positivo è che il MISE sta tentando di inserire un incentivo anche alle ricariche private, che porta le persone a dotarsi di punti di ricarica intelligenti e potenzialmente quindi anche a partecipare a servizi di flessibilità delle reti elettriche. Ed è positivo anche perché in Italia produciamo parecchi dispositivi di ricarica, quindi si dà una mano anche ai produttori italiani. Basti pensare che circa il 60% dei dispositivi di ricarica in Italia sono Made in Italy.
In più tale intervento pone un aumento degli incentivi per gli ISEE sotto 30.000 euro. Si tratta di un tentativo interessante.
Altro aspetto positivo: finalmente gli incentivi hanno una programmazione triennale, noi avevamo anche proposto di fare un decalage sull’incentivo unitario: ogni macchina può prendere 3.000 o 5.000 euro a seconda che si rottami o meno, noi avevamo proposto di calarli piano piano nel corso dei tre anni.
E’ fondamentale che gli incentivi abbiano un termine chiaro. Più le regole sono chiare, precise e i tempi certi, più si può fare programmazione, anche industriale. In tal senso proponevamo di verificare le quote di mercato e prevedere che quando si raggiunge il 15-20% del mercato auto totale composto da auto elettriche, allora si può fare a meno degli incentivi.
Al di là degli incentivi, cosa serve alla mobilità elettrica per fare il salto di qualità e imporsi finalmente in Italia?
A livello di incentivi servirebbe includere anche le flotte aziendali e verificare le quote di mercato.
Vorrei una politica pianificata, vorrei che ci fosse chiarezza. Sarebbe importante un minimo di certezza per i cittadini che devono acquistare un veicolo e per le imprese che devono fare investimenti per cambiare le linee produttive per approfittare della grande trasformazione industriale rappresentata dalla mobilità elettrica.
Aiuta avere una direzione e una pianificazione: dal punto di vista industriale sarebbe bello che il nuovo Governo mostrasse un vero piano. Ormai sono due anni che discutiamo nei tavoli automotive dei massimi sistemi e poi il risultato è che oggi come oggi ancora non abbiamo un piano di sviluppo delle competenze dei lavoratori, non ci rendiamo conto di quanti nuovi lavoratori ci servono, ed è drammatico perché mancano decine di migliaia di ingegneri elettronici ed elettrotecnici, i tecnici specializzati.
Serve un minimo di certezza in un momento di incertezza: di fronte alla guerra, alla pandemia, con l’aumento dell’inflazione e la capacità di risparmio degli italiani intaccata un bene durevole come l’auto non si acquista a cuor leggero. Di conseguenza, concentrarsi solo sul canale privato è una follia.
Serve poi maggiore capillarità delle infrastrutture di ricarica. Sento dire da più parti che il motivo per cui la gente non compra le auto elettriche è che ci sono poche infrastrutture di ricarica. Non è vero: se vediamo il parametro numero di veicoli/numero di punti siamo secondi solo all’Olanda; e anche dal punto di vista della potenza non siamo messi male, offriamo una potenza media abbastanza alta al cliente finale.
Siamo manchevoli sulla capillarità e su questo dobbiamo investire. In questo il PNRR dà anche una mano, ma stiamo ancora aspettano il decreto attuativo del bando da 740 milioni di euro per le infrastrutture di ricarica.
Per non parlare dei 90 milioni di euro per incentivare le infrastrutture di ricarica in azienda stanziati 2 anni fa e che ancora non sono stati messi a disposizione. O delle gare per le infrastrutture di ricarica in autostrada attese da 4 anni.
Quello che servirebbe è una direzione univoca chiara e tempi certi di investimenti.
Le intenzioni ci sono, con grossa fatica gli incentivi sono stati realizzati, il fondo automotive c’è, il problema la mancanza di uniformità e la capacità di gestire il tutto tenendo la barra dritta, con una pianificazione fatta bene.