Covid-19: UE e imprese a confronto su Recovery fund e le altre misure europee
Istituzioni europee, italiane e imprese si confrontano sulle misure varate da Bruxelles, sul loro livello di attuazione in Italia e su quale potrebbe essere l’impostazione del Recovery fund, alla ricerca di un equilibrio tra prestiti e sovvenzioni a fondo perduto. Ecco cosa è emerso durante la conferenza digitale promossa ieri da Parlamento europeo e Commissione.
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Dopo la prima digital conference di inizio aprile in cui le istituzioni europee hanno illustrato l’ampio pacchetto di misure varate per fronteggiare la crisi, ieri si è svolta una nuova conferenza che è servita a fare il punto sulle novità - prime fra tutte il Recovery fund - e ad avviare in confronto con le imprese.
L’Europa c’è e per l’Italia è un bene. Ecco perchè
Nell'aprire i lavori Carlo Corazza, Responsabile del Parlamento europeo in Italia, parla di “una risposta senza precedenti dell’Unione europea” che, dopo una prima fase di tentennamenti e gaffe, ha invece messo in campo strumenti adeguati. Misure che mirano ad affrontare i problemi di asimmetria tra paesi e mercati e che, senza le risorse europee, creerebbe disparità permanenti tra i diversi stati membri, compromettendo la tenuta stessa dell’UE.
Strumenti come il MES (che all’Italia darebbe 36 miliardi per la sanità), i finanziamenti della BEI alle imprese e il SURE per la tutela dei posti di lavoro, sono delle linee di credito che nei fatti rappresentano già una mutualizzazione della crisi tra i diversi paesi UE, mettendo in atto un vero e proprio meccanismo di solidarietà europea che permette alle economie più deboli come l’Italia di indebitarsi come se avessero la Tripla A, grazie alle garanzie fornite dalle economie più ricche.
Del resto, aggiunge Lauro Panella del Parlamento europeo, bastano pochi numeri per capire come lo scudo europeo stia funzionando. Su tutti un confronto: i numeri sul calo del Pil e l'aumento dello spread che si sta registrando oggi, rispetto a quanto avvenuto durante la crisi di dieci anni fa. Nel 2009, infatti, l’Italia registrò un crollo del Pil del 4,5%-5% e un aumento delle spread al 575 punti base. Oggi, con il Pil in caduta doppia, lo spread si aggira sui 180-200 punti. Non si tratta di magia né di una migliore performance dell’Italia. Il motivo per cui gli attacchi speculativi sul nostro debito non si stanno registrando è perché la BCE sta acquistando i nostri titoli, mettendo in campo un bazooka che potrebbe portare all'acquisto di 180-200 miliardi di obbligazioni italiane. Una capacità di assorbimento che nessuna altra banca internazionale ha.
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Le ultime novità sul Recovery Fund
Ma Corazza sottolinea che, oltre a strumenti di credito (che significa comunque dover restituire prima o poi i soldi ricevuti), c’è bisogno anche di sovvenzioni a fondo perduto per far ripartire l’economia.
E a questo dovrebbe servire il Recovery fund uscito dal Consiglio europeo del 23 aprile e che, nelle intenzioni, dovrebbe prevedere anche una parte di contributi a fondo perduto. Si tratta di un Fondo che potrà emettere titoli europei garantiti dal nuovo bilancio UE 2021-2027 e che, in questo modo, potrà avere dei debiti anche a lunghissima scadenza, sempre con la tripla A e sempre con tassi di interesse bassissimi. In attesa che venga approvato il nuovo bilancio pluriennale, sono allo studio soluzioni ponte per capire come ancorare i titoli del Recovery fund a forme di garanzia altrettanto solide. Molto probabilmente si tratterà della BEI o del MES.
E sempre di Recovery fund parla l’Ambasciatore Pietro Benassi, Consigliere diplomatico del Presidente del Consiglio, che ha preso parte alle trattative in corso a Bruxelles. La decisione del Consiglio europeo del 23 aprile è stata di portata storica perché gli stati hanno concordato che, per garantire la ripresa economica e la tenuta del mercato comunitario, serve un Piano Marshall capace di ridurre le asimmetrie create dalla pandemia. A questo deve mirare infatti il Recovery fund del quale il Consiglio - anche su richiesta dell’Italia - ha delineato le tre caratteristiche: sufficiente magnitudo economica, urgenza e necessità. Da qui non si torna più indietro.
Ed è per questo che l'ambasciatore confida in una dinamica positiva del negoziato anche da parte dei paesi del nord, storicamente più restii. In gioco, infatti, c’è la difesa del mercato UE. “Creare una asimmetria in Europa - conclude l’ambasciatore - metterebbe a rischio le catene integrate del valore e quella solidarietà del mercato interno che alla fine danneggerebbe per primi proprio quei paesi che all'inizio hanno avuto più remore ad accettare il Recovery fund”.
Di Recovery fund parla anche Massimo Gaudina, Capo dell’Ufficio di Milano della Rappresentanza in Italia della Commissione europea. Nelle prossime settimane dovrebbe arrivare la proposta formale, che dovrà prevedere un giusto equilibrio tra prestiti, sovvenzioni a fondo perduto e garanzie concesse dal Fondo. Intanto nell’attesa di capire come sarà effettivamente strutturato lo strumento e di vedere quali saranno poi le modalità di accesso, Gaudina annuncia che a metà maggio dovrebbe arrivare una comunicazione sul turismo per mettere subito in campo misure adeguate per sostenere la liquidità degli operatori turistici.
Ma ricorda anche come, nel lungo periodo, la roadmap per la ripartenza dovrà basarsi su un concetto nuovo, quello dell’autonomia strategica. La crisi infatti, ha messo in luce come su alcuni settori critici l’UE debba essere più autosufficiente e meno dipendente da paesi terzi. Nella nuova economia che verrà, pertanto, l’Europa intende avviarsi lungo una nuova strategia che dovrà bilanciare le canoniche aperture di mercato con la necessità di autosufficienza nei settori critici.
Ma come sottolinea Adelaide Mozzi (Consigliere economico della Rappresentanza in Italia della Commissione europea) il Recovery Fund non potrà dimenticare le priorità della Commissione von der Leyen e cioè la trasformazione digitale e il green deal. Questo perché, pur nella sua tragedia, il coronavirus non blocca i cambiamenti climatici. Pertanto una ripresa economica deve comunque puntare su un cambiamento del sistema produttivo in chiave sostenibile.
Sempre parlando di Recovery fund, poi, Panella sottolinea che non sarà soltanto importante capire come raccogliere i fondi, quanti saranno e quale sarà l'equilibrio tra prestiti, garanzie e sovvenzioni a fondo perduto. E’ indispensabile anche individuare quali debbano essere le linee su cui spendere le risorse.
“Riaprire infatti non significa ripartire”. Lo scenario economico che ci attende sarà molto diverso per numerosi settori. Si pensi al commercio o alla ristorazione che dovranno fare i contri ad esempio con abitudini di consumo che molto probabilmente cambieranno. Questo significa che avere i soldi non è sufficiente, se non si riesce a capire anche come e dove spenderli. La crisi, infatti, sarà asimmetrica e aumenterà il divario tra territori, tra filiere produttive e tra i diversi strati sociali della popolazione.
Le misure già messe in campo
Ad entrare nel merito delle misure già attuate ci pensa Mozzi. Si tratta fondamente di due pacchetti di misure.
- Un primo pacchetto mira a supportare gli stati a mettere in campo misure per sostenere la liquidità delle imprese o gli ammortizzatori sociali, attraverso la sospensione del Patto di stabilità e la flessibilità delle regole sugli aiuti di stato;
- Un secondo pacchetto, invece, si è posto l'obiettivo di aiutare gli stati a spendere fino all’ultimo centesimo del bilancio europeo attraverso una serie di inziative come il primo pacchetto di aiuti da 37 miliardi, il Coronavirus Response Investment Initiative Plus (CRII+), una maggiore flessibilità per la spesa di fondi dedicati a pesca e agricoltura. Ma anche il Fondo di solidarietà europeo (800 milioni di euro) a cui anche l’Italia ha fatto richiesta di accesso e su cui ora la Commissione è al lavoro.
A tutto questo si aggiungono poi gli strumenti per garantire liquidità alle imprese messe in campo soprattutto dalla BEI, incluse le ultime due che sono state varate e cioè:
- Un fondo di garanzia che si rifà al Piano Juncker e che permette alla BEI di erogare finanziamenti alle PMI e mid cap fino a 8 miliardi euro, tramite intermediari finanziari;
- Il progetto pilota Escalar per supportare gli investimenti in venture capital e in private equity, in modo da dare finanziamenti alle aziende innovative che, per loro natura, sono più a rischio. Parliamo di 300 milioni, per finanziamenti di oltre 1 miliardo di euro.
Ma oltre alle imprese, l’UE parla anche al mondo del lavoro tramite SURE, il nuovo strumento che mira a supportare gli stati nel mantenimento dei livelli occupazionali.
A queste misure si aggiunge poi il ruolo assunto dalla BCE che, ricorda Corazza, nelle ultime tre settimane ha adottato misure straordinarie per sostenere le casse pubbliche e l’economia reale attraverso:
- La decisione di accettare anche i titoli spazzatura (i c.d. junk bond) come garanzie per prestare soldi alle banche;
- L’avvio di un programma straordinario di acuiti da 1.110 miliardi di euro di titoli pubblici;
- La modifica di alcuni criteri di sorveglianza bancaria da parte della BCE che consente alle banche di sospendere mutui e dare liquidità più velocemente;
- La concessione di liquidità alle banche a tassi negativi, il che permette agli istituti bancari di prestare soldi alle imprese non solo senza rimetterci nulla, ma addirittura guadagnandoci.
Cosa ha fatto l’Italia?
Strettamente connesse alle misure europee ci sono poi gli interventi varati dal Governo italiano e dalle Regioni.
Per quanto riguarda le imprese, Antonio Martini, Dirigente dell’Area ricerca, sviluppo e grandi progetti ind.li del MISE, parte chiaramente dal Fondo di garanzia e da Garanzia Italia. Ma sottolinea come il mondo produttivo debba e possa contare non solo su strumenti di prestito, ma anche sui contributi a fondo perduto.
Per questo il MISE si è dato un serrata tabella di marcia per arrivare ad immettere a stretto giro nel tessuto imprenditoriale fino a 4 miliardi di euro di sovvenzioni:
- 2 miliardi a valere sui bandi 2019 e 2018 che gravitano su Impresa 4.0 e digitale, e sui quali il MISE intende chiudere i procedimenti entro l’anno;
- 2 miliardi che afferiscono a vario titolo ai contratti di sviluppo.
A questi infine si aggiungono i grandi progetti di interesse comune europeo che rappresentano un terzo filone di sovvenzioni e su cui il MISE sta cercando ulteriori risorse per sostenere l’industria strategica italiana.
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Ma i fondi per la imprese arrivano anche dalle regioni che assieme al governo sono al lavoro per cercare di usare il più possibile entro quest’anno i fondi europei ancora disponibili, massimizzando la decisione della Commissione di liberalizzare l’impiego. A dirlo Andrea Ciaffi, Dirigente Affari Europei della Conferenza Regioni, che ricorda come con i fondi UE ancora liberi le regioni potranno affrontare tre aspetti dell’emergenza: quella sanitaria, quella produttiva (imprese lavoratori) e quella sociale. Parliamo di 8 miliardi di euro per aiuti che le regioni potrebbero arrivare a gestire per fronteggiare la crisi.
Quanto al futuro Ciaffi mette in guardia su alcuni aspetti:
- La prossima programmazione europea che, oltre a presentare difficoltà in termini di preparazione e tempistiche, risulta difficile da strutturare data la velocità e la profondità con cui la pandemia sta cambiando le nostre società, in modi che oggi è difficile prevedere;
- La tenuta dei bilanci pubblici. Su questo aspetto c’è bisogno che gli interventi europei vedano presto la luce se no, nonostante le intenzioni, la stabilità delle casse pubbliche è messa a seriamente a repentaglio.
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Cosa chiedono le imprese
Da tutte le associazioni di categoria partecipanti arrivano più o meno le stesse richieste: velocità, sburocratizzazione delle procedure per accedere agli aiuti, maggior presenza di strumenti che erogano sovvenzioni rispetto ai prestiti e alle grazie.
Scendendo nel dettaglio dei settori Gianmarco Dotta, Presidente di Assoconfidi, sottolinea come nell'individuare gli intermediari finanziari capaci di fare da cinghia di trasmissione tra le istituzioni UE e l’economia reale, dovrebbero figurare anche i Confidi. Questo per una semplice ragione: il tessuto produttivo italiano è composto anche da tante piccole e piccolissime imprese che spesso hanno difficoltà a relazionarsi con le banche. Per loro, invece, i confidi rappresentano una soluzione più a misura.
Di Recovery fund parla invece Massimiliano Musmeci, Direttore generale di ANCE, per il quale “un intervento a fondo perduto sul Recovery fund sia il migliore investimento che l'Europa possa fare per la tenuta futura delle entrate fiscali italiane”. Musmeci poi lancia una serie di appelli incluso:
- La richiesta al MISE di inserire tra gli investimenti ammissibili per Impresa 4.0 anche le costruzioni;
- Prevedere un sostegno alle imprese per adeguare i cantieri alle esigenze di sicurezza, tramite i fondi strutturali non spesi;
- Una maggiore uniformità a livello UE per quanto riguarda vari aspetti normativi tra cui: la definizione di “forza maggiore”, il tema dell’infortunio-malattia e la mobilità post-covid in Europa;
- Un'accelerazione sul pagamento dei crediti da parte di PA.
E sul pagamento degli arretrati da parte delle istituzioni si focalizza anche Francesca Biondo, Direttore di Federpesca che chiede di accelerare i pagamenti del FEAMP per il fermo pesca del 2016 e del 2017. E sempre rimanendo sul FEAMP lancia l’appello di velocizzare la modifica dei regolamenti di gestione del programma, evitando ulteriori asimmetrie tra imprese che operano in regioni diverse se alcuni territori arrivano prima di altri.
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Sempre sull’accelerazione della modifica dei regolamenti e dell’impiego dei fondi UE ancora disponibili, si concentra Cristina Tinelli, Responsabile dell’ufficio di Bruxelles di Confagricoltura. Che sottolinea anche come qualsiasi scelta futura di tagliare i fondi della PAC sia controproducente, soprattutto all’indomani di una crisi che ha messo tragicamente in luce come l'autosufficienza strategica dell’UE debba includere necessariamente anche l’agricoltura.
Sulla richiesta di strumenti che guardino più alle sovvenzioni che al credito interviene Paolo Palamiti, Affari Europei di Assolombarda che sottolinea come il futuro Recovery fund dovrà contenere un giusto equilibrio tra prestiti e garanzie da un lato e sovvenzioni a fondo perduto dall’altro. Ciascuno dei tre strumenti, infatti, agisce in modo diverso sulla gestione del rischio e sulla capacità di rafforzare le imprese e non c’è dubbio che, se si parla di PMI, il contributo a fondo perduto risulta essere quello più adatto.
Concorda sul punto anche Alberto Marchiori, Incaricato per le Politiche UE di Confcommercio, che aggiunge anche come, per nel prossimo futuro, per spendere i fondi UE non solo sarebbe opportuno sospendere la Smart specialization strategy (S3) ma anche dirottare parte delle risorse in un grande programma di rigenerazione urbana.
Critiche sull'eccessivo uso di strumenti che prevedono finanziamenti provengono anche da Ivano Russo, Direttore generale di Confetra che, oltre a lamentare ritardi nell’erogazione dei prestiti, lancia un appello specifico per il settore trasporti: quello cioè di prevedere il taglio del cuneo fiscale piuttosto che prestiti da parte del Governo. Un misura che, per un comparto labour intensive come la logistica, permetterebbe alle imprese di ricevere una vera boccata d’ossigeno.
Infine Matteo Borsani, Direttore Affari Europei Bruxelles di Confindustria, secondo cui tutti gli interventi debbono mirare a ridurre il più possibile le asimmetrie create dalla crisi e andare di pari in passo con semplificazioni e sburocratizzazione nell’uso del fondi. E sempre restando sul fronte norme, Borsani lancia un appello alle istituzioni UE affinchè posticipino l’entrata in vigore di una serie di norme previste per i prossimi mesi e che adesso che le imprese stanno per ripartire, creerebbero ulteriori ritardi e costi di adattamento.
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