Di cosa ha bisogno l’idrogeno per superare il grande problema dei costi

 

Idrogeno rinnovabile - Foto di PIRO da PixabayBenché sia considerata una chiave di volta della transizione energetica, la produzione di idrogeno ha un costo elevato, molto elevato. Per renderlo competitivo servono un quadro regolatorio chiaro, un piano di investimenti strutturali, incentivi e strumenti di finanziamento in grado di supportare l’importante sforzo economico che investire nel vettore energetico comporta.

In autunno le prime aste europee per l’idrogeno rinnovabile da 800 milioni. Asse Bruxelles-Berlino

Da tempo si parla delle potenzialità dell’Italia come hub energetico d’Europa, tema portato alla ribalta dal cosiddetto Piano Mattei - piano che però, almeno per ora, ha poco di concreto. Un vettore che potrebbe fare dell’Italia il centro nevralgico del mercato energetico dei prossimi anni è l’idrogeno verde o rinnovabile, al centro dell’attenzione in Europa come nel resto del mondo.

Quella all’idrogeno è una corsa vera e propria e come ogni gara presenta i suoi ostacoli. Nel caso dell’idrogeno rinnovabile, il principale ostacolo da superare riguarda i costi, ancora molto elevati. 

Il grande problema dell’idrogeno, i costi ancora troppo elevati

In base a quanto ricostruito da Il Sole 24 Ore a metà giugno, il costo dell’idrogeno prodotto a partire da fonti energetiche rinnovabili oscilla tra gli 8 e i 20 euro al chilo per la generazione di calore nelle aziende hard to abate, e tra 10,4 e i 14 euro al kg se viene usato come feedstock.

Alcuni analisti sono ottimisti sull’andamento dei costi dell’H2 nei prossimi anni: secondo il rapporto di GlobalData “Low-Carbon Hydrogen Market Report, Update 2023” il costo di produzione dell’idrogeno verde calerà fino al 60% nel prossimo decennio, grazie al ridursi dei prezzi dell’elettricità da fonti rinnovabili.

Il problema dei costi però oggi è decisivo per le aziende e gli operatori che vorrebbero investire nel vettore energetico.
“L’idrogeno è il punto di arrivo di qualunque roadmap di transizione energetica”, ma ad oggi “ha un problema gigantesco di costi, quantità e distribuzione”, sottolineava nei giorni scorsi l’amministratore delegato di Fincantieri, Pierroberto Folgiero, in occasione del Festival Green&Blue.

Sebbene rappresenti insomma uno strumento fondamentale nella strada per la decarbonizzazione, occorre però che la transizione energetica sia anche economicamente sostenibile per l’industria, e questo non può prescindere da un sostegno adeguato alle imprese. Ciò vale anche e soprattutto per l’Italia, che si candida a diventare un hub del mercato dell’idrogeno a livello europeo, anche per via della sua posizione geografica. Ma la geografia, benché fondamentale, non basterà per far sì che il Paese vinca la corsa all’idrogeno verde. Quello di cui l'Italia ha bisogno sono innanzitutto investimenti importanti e una regolamentazione in grado di supportarli. 

Investimenti, incentivi e finanziamenti adeguati: di cosa ha bisogno l’idrogeno verde in Italia

“La creazione di un nuovo mercato, come quello dell’idrogeno, non può autosostenersi; per accelerare il processo occorre elaborare e attuare delle politiche industriali ad hoc, con un piano di investimenti strutturato”, dichiara il presidente di Anima Confindustria, Marco Nocivelli in occasione dell’evento “Modelli di business per l’utilizzo dell’H2 e lo sviluppo della filiera in Italia”, organizzato da Anima e Confindustria a Roma il 5 e 6 giugno.

Un punto di vista su cui sembrano convergere tanti operatori che, a vario titolo, guardano con crescente interesse alla produzione di idrogeno verde e alla filiera collegata.

Difficile rendere l’idrogeno competitivo senza strumenti regolatori e di finanziamento atti a supportarlo e favorire uno scale-up degli impianti, così da favorire l’effetto delle economie di scala per la realizzazione e il futuro mantenimento delle proposte progettuali”, dichiarava a Il Sole 24 Ore a metà giugno Aurelio Regina, presidente del gruppo tecnico energia di Confindustria.

Il problema di fondo è che gli impianti necessari per produrre idrogeno verde hanno costi operativi molto elevati. Per gli addetti ai lavori non è una notizia, anzi se ne parla da mesi. Lo diceva all’inizio dell’anno Cosetta Viganò, Responsabile Affari Normativi e Regolari, Area Affari Tecnici di Elettricità Futura nel corso del Webinar Technology Watch “L’idrogeno sostenibile per accelerare la transizione energetica”.

E già al tempo, sottolineava Viganò, il radar puntava su un ostacolo ben preciso: gli schemi di sostegno dovrebbero prevedere “un’integrazione a livello di sostegno sugli opex”, quindi sulla spesa operativa, per permettere alla filiera di decollare.

Il tema degli incentivi agli opex degli impianti di produzione di idrogeno rinnovabile sono al centro di una proposta annunciata dal presidente del Gruppo Sapio e di H2IT, l’Associazione Italiana Idrogeno, Alberto Dossi: “Con molte delle aziende nostre associate abbiamo messo a punto una proposta, che rivolgeremo al Governo, per introdurre un sostegno diretto agli opex dei progetti di idrogeno, che riteniamo essere un elemento essenziale poiché, ad oggi, i fattori che impattano maggiormente sul costo finale dell’idrogeno verde sono proprio i costi operativi, in primis quelli relativi all’energia”.

A rincarare la dose è arrivata il 21 giugno un’analisi della Community Idrogeno di The European House – Ambrosetti,  che scandagliando le opportunità offerte dal PNRR (l’unico strumento di sostegno pubblico ad oggi in Italia per il potenziamento della produzione e distribuzione dell’idrogeno) mette in luce alcune criticità dei bandi. Tra queste, appunto, la concentrazione prevalente sugli investimenti iniziali (capex) a svantaggio delle spese operative (opex), che potrebbero garantire la riduzione del divario di prezzo. L’indicazione raccolta dal think tank presso i player industriali di riferimento è di avere una ripartizione 20% capex – 80% opex.

Una risposta al problema nel decreto tariffe?

L’attenzione del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica verso il tema è alta.

Tradotta in pratica questa attenzione consiste in un provvedimento in arrivo, il cosiddetto decreto tariffe, che dovrebbe proprio rispondere alla richiesta degli operatori e delle aziende di sostenere anche gli opex dei progetti sull’idrogeno. Ma la strada non si preannuncia in discesa.

“Anche ipotizzando un contributo pubblico sui capex (le spese di investimento, più mirate alla crescita a lungo termine dell’azienda, ndr) fino al 60%, il limite massimo previsto dal bando per gli hard to abate, l’utilizzo di idrogeno nell’industria non sarebbe competitivo” ha ammesso nel corso del convegno Mauro Mallone, Direttore Generale Direzione Incentivi Energia del Ministero dell’Ambiente e della Sicurezza Energetica.

“Per questo è necessario un sistema di incentivazione che consenta di ridurre il gap tra il costo finale dell’idrogeno green e quello dei combustibili fossili”.

Non sarà facile, come si evince da un’altra dichiarazione del rappresentante del MASE: “Se consideriamo un consumo di idrogeno tra le 200.000 e le 300.000 tonnellate annue al 2030, per garantire ogni anno un incentivo anche solo di 1 euro a kg, servirebbero diversi miliardi di euro. Ed è dovere del Governo trovare un equilibrio tra la necessità di questo tipo di sostegno da parte delle imprese e la congruità degli interventi pubblici che non possono gravare in misura eccessiva sulle tasche dei contribuenti”.

La strada che il Ministero potrebbe percorrere nel decreto tariffe potrebbe essere quella del meccanismo di asta di tipo contract for difference (un accordo tra un acquirente e un venditore finalizzato a scambiare la differenza tra il valore attuale di un determinato bene e il suo valore al momento della conclusione del contratto) con cap e contingenti in funzione dei volumi.

Si tratta di un meccanismo piuttosto complesso, uno schema incentivante applicato al mercato europeo della CO2 in cui il governo offre contratti a lungo termine per pagare la differenza tra l’attuale prezzo del carbonio e il costo effettivo di abbattimento della CO2. Applicati all’idrogeno i CfD permetterebbero di coprire il gap economico tra idrogeno e alternative fossili. 

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