Industria 4.0 e impatto sul lavoro: cosa fare per imprese e lavoratori?
Quali saranno le conseguenze della quarta rivoluzione industriale? Come sostenere imprese e lavoratori per restare sul mercato? Uno studio di ADB si interroga sul futuro del lavoro a partire dal contesto del sud est asiatico. Indicando alcune priorità di intervento che possono essere una bussola anche per noi.
Le ultime novità sul Fondo nuove competenze
Anche se le basi di partenza sono estremamente diverse, le conseguenze dell’avvento dell'industria 4.0 sul mondo del lavoro saranno massicce sia nei paesi in via di sviluppo del sud est asiatico, sia nei paesi occidentali.
Certo per paesi come la Cambogia o l’Indonesia, che basano parte della propria economia sul vantaggio competitivo che deriva dal basso costo del lavoro, l’avvento dell’automazione genererà conseguenze probabilmente diverse rispetto a quelle che vivremo noi.
Ma non c’è dubbio che lo studio della Banca asiatica di sviluppo (ADB) “Reaping the benefits of Industry 4.0 through skills development in high-growth industries in Southeast Asia. Insights from Cambodia, Indonesia, the Philippines and Viet Nam” contiene indicazioni che è bene conoscere. In un mondo segnato da catene globali del valore molto lunghe, infatti, è strategico sapere come si stanno muovendo i diversi anelli della catena.
Investire nella formazione e migliorare la certificazione delle competenze
Per evitare che la quarta rivoluzione industriale (4IR) si trasformi da opportunità economica a un fattore di esclusione per una grossa fetta di lavoratori, l'elemento su cui investire sin da ora è chiaramente la formazione. Occorre però capire come e dove operare.
Secondo ADB, un buon punto di partenza potrebbe essere quello di dotarsi di mappe capaci di individuare le principali trasformazioni che interesseranno i settori chiave della propria economia, come ha fatto ad esempio Singapore. La città-isola si è infatti dotata di roadmap contenenti informazioni sui principali impatti tecnologici attesi, i percorsi di carriera che emergeranno, le competenze che saranno richieste per le varie professioni e le opzioni di riqualificazione disponibili.
Una sorta di bussola, insomma, capace di indicare ad esempio come adattare i programmi di istruzione e formazione tecnica e professionale che - sottolinea ADB - dovrebbero prevedere meccanismi di ingaggio dell’industria. Un buon esempio di programma “industry-led”, secondo ADB, è quello di Generation, un'organizzazione no profit indipendente fondata dalla società di consulenza manageriale globale McKinsey & Company. “Delle oltre 30.000 persone che si sono diplomate ai suoi programmi in 13 paesi, l'81% era impiegato entro 3 mesi dalla laurea e guadagnava stipendi 2-6 volte superiori rispetto al passato. Sebbene il programma copra una vasta gamma di occupazioni, include una forte attenzione allo sviluppo di competenze per le tecnologie 4IR, compreso il marketing digitale e lo sviluppo di processi automatizzati che utilizzano la robotica”, scrive infatti la Banca.
Ma a cambiare dovranno essere anche i programmi di certificazione delle competenze a cui si richiede di essere flessibili e modulari. Per ADB, infatti, i paesi dovrebbero sviluppare programmi di certificazione flessibili che riconoscano il raggiungimento delle skills al di fuori dei canali educativi tradizionali. Un buon esempio, secondo i ricercatori della Banca, è il Malaysian Skills Certification Program, che concede certificati di competenze a lavoratori privi di qualifiche formali di istruzione ma che hanno acquisito conoscenze, esperienze e competenze pertinenti sul posto di lavoro.
Come funzionano gli incentivi per ricerca, innovazione e formazione 4.0
Attenzione immediata ai più fragili
Un altro punto su cui si sofferma lo studio è quello che riguarda la messa in atto di programmi che parlano alle fasce più deboli della popolazione e ai lavoratori che rischiano maggiormente di essere tagliati fuori dal nuovo mondo del lavoro. Per loro lo studio suggerisce un approccio composto da vari tasselli come:
- La formulazione di nuovi interventi per rafforzare l'inclusione e la protezione sociale nell'ambito della 4IR. Ciò dovrebbe coprire la formazione per tre tipi di lavoratori (quelli entrati da poco nel mercato del lavoro, quelli a rischio di dover cambiare impiego e quelli che necessitano di migliorare le proprie skills) attraverso moderne piattaforme digitali;
- La creazione di canali di apprendimento online, come quelli supportati dalla Malesia, con le università che creano enormi corsi aperti che devono essere resi disponibili online al pubblico in generale;
- La realizzazione di programmi di sviluppo delle competenze destinati a specifici gruppi svantaggiati.
Ma per farsi trovare preparati davanti all’impatto della 4IR, lo studio sottolinea anche l’importanza di operare sul fronte della sicurezza del reddito dei lavoratori con contratti brevi. Un esempio è l’Australia dove questi lavoratori hanno diritto a un aumento salariale del 25% all'ora rispetto a quanto riceve un impiegato con lavoro regolare. Un meccanismo, insomma, che da un lato tutela chi è più precario e dall’altro incentiva all’assunzione più stabile.
Quali incentivi per la formazione?
Vi è infine la grande area dei sistemi di incentivazione economica. Oltre a sottolineare l'importanza di “implementare un sistema di incentivi per le imprese a formare i propri dipendenti per la 4IR”, lo studio invita anche a collaborare con il mondo imprenditoriale per la formazione dei soggetti più fragili, come fa ad esempio il Giappone.
Grazie al programma “Career-Up Josei-Kin”, infatti, Tokyo sovvenziona i datori di lavoro per formare persone che non hanno contratti regolari, ingaggiando quindi le imprese nella formazione delle comunità più svantaggiate, che rischiano di restare tagliate fuori dall’automazione.
Photocredit: Arthur Krijgsman da Pexels
o